Articolo tratto dal settimanale Tempi in edicola (qui la pagina degli abbonamenti) – Accolto con un sarcasmo fin troppo facilmente pronosticabile, il “camouflage” che consentirà all’Italia di aprire alla scadenza prefissata la vetrina internazionale di Expo – provvedendo nel frattempo a rimediare, con discrezione, a pecche e incompiutezze che all’1 maggio non saranno state ancora risolte – è l’altra faccia della medaglia di quella trasparenza e correttezza formale nei preparativi su cui si è focalizzata tutta l’attenzione, a lavori già assegnati, da un anno a questa parte.
Dalla chiamata di Raffaele Cantone alla presidenza dell’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione, il 27 marzo 2014, l’80 per cento delle procedure relative ad Expo e di importo pari o superiore ai 40 mila euro ha subìto rilievi, secondo quanto riferito dallo stesso Cantone pochi mesi fa alla commissione antimafia della Regione Lombardia. Due interventi – la realizzazione delle vie d’acqua e delle architetture di servizio (cioè gli spazi comuni come bar e bagni) – sono stati commissariati. Per altri due il commissariamento è stato evitato per un soffio: la piastra (cioè «l’infrastruttura più importante del sito espositivo: si tratta della sua “ossatura”», come spiega senza bisogno di tante parole il sito web di Expo) è sfuggita solo grazie a una manovra al limite della società Expo 2015 spa; il Padiglione Italia è invece di fatto sotto tutela.
I preparativi di Expo hanno subìto il primo brusco incidente di percorso il 20 marzo 2014, quando gli arresti di Giulio Rognoni e Pierpaolo Perez (rispettivamente direttore generale e capo dell’ufficio gare e appalti di Infrastrutture Lombarde spa) hanno bloccato la società attraverso cui Regione Lombardia veicolava 11 miliardi di euro sull’evento. Come in una tela di Penelope alla rovescia, coi manager a tessere un lavoro messo in forse, l’amministratore delegato di Expo 2015 spa, Giuseppe Sala, ha dovuto chiamare Italferr a sostituire Infrastrutture Lombarde alla direzione dei lavori dell’area espositiva. L’effettivo subentro della società di ingegneria delle Ferrovie dello Stato ha avuto luogo il 6 agosto 2014 e nei cinque mesi (quasi la durata di Expo) trascorsi nel frattempo, 400 aziende e oltre 5.500 addetti si sono ritrovati senza un chiaro coordinamento che evitasse loro di schiacciarsi reciprocamente i piedi nell’allestimento del milione di metri quadrati dell’area espositiva. A complicare il passaggio di consegne – con richiesta di chiarimenti sulla “staffetta” avanzata da Infrastrutture Lombarde – l’arresto di Angelo Paris, l’8 maggio 2014, che ha privato subitaneamente Expo 2015 spa del direttore per pianificazione e acquisti nonché general manager del progetto di Expo 2015, costringendola a un cda d’emergenza per provvedere all’ennesima sostituzione, nientedimeno che del dirigente preposto a firmare l’autorizzazione dei lavori.
L’eccezione diventa regola
«A Milano scoppia lo scandalo Expo e Renzi che cosa ti fa? Per dare pane all’affamata bestia dell’opinione pubblica ecco che dal cilindro salta fuori il nostro eroe: Raffaele Cantone», ha scritto il direttore de Il Foglio, Claudio Cerasa. Ma l’intento ravvisato dallo stesso Cerasa di «far diventare regola l’eccezione del magistrato che aiuta la politica a ritrovare la sua moralità» non si è rivelato un escamotage vincente per sedare l’opinione pubblica. Semmai l’ha ulteriormente irretita, alimentando una sorta di spirito di cannibalismo giudiziario. Un anno dopo quella nomina, lo scorso 20 marzo, il vicepresidente dell’associazione di tutela dei consumatori Movimento Difesa del Cittadino, Francesco Luongo, ha ventilato l’ennesima vertenza legale, per ottenere il rimborso dei biglietti della maxi-fiera, proprio sul presupposto che «l’80 per cento delle procedure è in discussione e il ritardo nei lavori è sotto gli occhi di tutti». E a breve giro di posta, anche lo scenografo Dante Ferretti ha ipotizzato un ricorso legale (poi scongiurato) lamentando modifiche al suo progetto di allestimento del sito espositivo.
L’istituzione dell’Anac a seguito dell’accendersi dei fari sulla maxi-fiera e i controlli dell’Uos, l’unità operativa speciale dell’Anac allestita appositamente per Expo, hanno portato – come da resoconto di Cantone all’antimafia regionale lombarda – a «rilievi di legittimità o opportunità» su 72 pratiche. Di pari passo sono affiorati dubbi in merito al sovrapporsi dei lavori legali su quelli esecutivi, tanto da indurre lo stesso Cantone a sottolineare – in una recente intervista a Sette – che i due interventi commissariati sono quelli che hanno proceduto più speditamente. Di fatto una conferma che solo ciò che è stato sottratto alla gestione ordinaria è andato avanti senza trovare intoppi.
È del resto la stessa relazione presentata dall’Anac all’antimafia lombarda a evidenziare che gli scavi sono stati fatti anzitutto tra le carte: delle 93 le procedure passate al setaccio («bandi, accordi transattivi, varianti, contratti di sponsorizzazione, convenzioni, nomina di commissioni giudicatrici, aggiudicazioni e controlli a campione»), in 10 casi «sono stati chiesti chiarimenti alla stazione appaltante» cioè ad Expo 2015 spa, cabina di regia dei preparativi. Sui lavori per la rimozione delle interferenze e l’allestimento della piastra sono state aperte ben tre inchieste. L’ultima ha preso le mosse lo scorso marzo da un’indagine completamente diversa e autonoma, ma i sospetti che gli inquirenti hanno formulato in merito alla realizzazione del Mose di Venezia da parte del gruppo Mantovani hanno ispirato l’apertura di un altro fascicolo, a Milano, appunto sulla piastra.
L’idea del camouflage
Per salvaguardare la realizzazione dell’asse portante di Expo si è dovuto approntare un escamotage che salvasse capra e cavoli, correttezza formale e operatività. La legge stessa invero, prevede, all’articolo 38 del codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 163/2006), che appalti già in corso d’opera possano continuare a essere svolti dalla società che se li è aggiudicati anche in pendenza di un’inchiesta, finché quest’ultima non conduca a una condanna definitiva. Ma nel caso della piastra, Expo 2015 spa ha ritenuto di fare un passo in più, che Il Fatto Quotidiano ha descritto in questi termini: «Il 13 gennaio 2015 il consiglio d’amministrazione di Expo chiede all’amministratore delegato Giuseppe Sala di avviare, come segnalato da Anac e avvocatura dello Stato, un vero e proprio atto transattivo. E qui Sala spicca il volo: decide “di avvalersi espressamente della facoltà di deroga”, a “superamento delle osservazioni rese dall’avvocatura generale dello Stato”. Avanti tutta».
La decisione, sottolinea ancora Il Fatto Quotidiano, viene formalizzata «in un documento che ora si chiama “Atto transattivo”, per non far arrabbiare troppo Cantone». In prima serata tv da Lilli Gruber, nella stessa giornata di inizio aprile nella quale era stato con Giuseppe Sala a effettuare un sopralluogo dell’area Expo, il presidente dell’Anac ha affermato di non poter escludere ulteriori scandali legati alla maxi-fiera. Ma la deroga in cui si risolve l’accordo transattivo per la piastra è stata ratificata dall’Ocse, alla luce del protocollo per la legalità che gli organizzatori di Expo e l’Anac hanno stipulato con l’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico (si tratta di una via che pochi altri Stati partecipanti alla manifestazione hanno seguito). Intanto, però, l’idea del camouflage aveva inesorabilmente iniziato a prendere corpo.
La sede di rappresentanza
Mentre qualcuno opina che la nomina di Cantone all’Anac fosse passo da compiere a monte dell’avvio delle procedure legate a Expo, le cronache riportano che la pulizia che si vuole nei preparativi della maxi-fiera ha quasi messo in forse la pulizia fisica dell’area espositiva, per la quale si continuano a pronosticare oltre 20 milioni di visitatori. Ancora ad aprile l’appalto del servizio pulizia, per la cui redazione Expo 2015 spa ha impiegato un paio di mesi, era al vaglio dell’Uos.
Già definite sia la vertenza giudiziaria di Paris sia quella che lo scorso autunno ha coinvolto l’ex subcommissario Antonio Acerbo, la conduzione in porto dei lavori dai quali ha tratto spunto l’inchiesta su quest’ultimo – la realizzazione del Padiglione Italia – continua invece a procedere al ritmo scandito dalla magistratura. È stata infatti l’ennesima inchiesta di altro genere, quella partita a marzo 2015 a Firenze sulle grandi opere, a condurre il prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca, su input di Cantone, a incaricare l’ingegnere Umberto Bertelé di provvedere al «sostegno e monitoraggio» di Italiana Costruzioni, la società vincitrice dell’appalto di Palazzo Italia ora oggetto dell’attenzione degli inquirenti fiorentini. «La battuta d’arresto c’è stata – non ha nascosto di recente Diana Bracco, commissario per il Padiglione Italia – ma molto limitata. L’autorità anticorruzione ha preso subito decisioni alle quali ci siamo immediatamente adeguati. Adesso speriamo di recuperare velocemente il tempo che abbiamo passato col fiato sospeso, ogni ora ha il suo senso, perché in effetti dobbiamo proprio correre». Nella corsa per far sì che all’apertura di Expo la sede di rappresentanza del paese organizzatore sia almeno visitabile, a correre sono anzitutto i costi operativi: occorre pagare un aumento della manodopera e lavori non-stop 24 ore su 24.
Foto Ansa