Il Movimento 5 Stelle è un esercito. E si divide tra fedelissimi prodi e disertori. Nessuna mezza misura con chi discute la linea del capo. E anche se resteranno soltanto Beppe Grillo e il guru Gianroberto Casaleggio, i dissidenti, cioè i disertori, vanno cacciati: questo è più o meno il pensiero dell’ex comico. Applicato alla realtà pare sempre più simile a un racconto di Roald Dahl che non un’epopea bellica. Grillo interpreta l’eccentrico Willy Wonka e scambia il Parlamento per la sua fabbrica di cioccolato. La metafora sarebbe azzeccata se non fosse che i “vincitori del biglietto d’oro” espulsi da Grillo, che ora contestano il leader e si fanno irretire dai dolci piaceri della politica, continueranno a votare fino al termine della legislatura.
LE ULTIME EPURAZIONI. Le ultime vittime della linea ferrea voluta dal padrone del Movimento sono i cinque senatori pentastellati Alessandra Bencini, Laura Bignami, Monica Casaletto, Maria Mussini e Maurizio Romani. «Si sono isolati e non possono continuare ad essere rappresentanti ufficiali nelle istituzioni», ha scritto Grillo ieri sul suo blog. La loro colpa? Aver inscenato le dimissioni da senatori per protesta contro le recenti espulsioni dei colleghi Luis Alberto Orellana, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella e Lorenzo Battista, rei a loro volta di aver contestato Grillo per lo sproloquio avuto nell’incontro con il presidente del Consiglio Matteo Renzi.
PIZZAROTTI A RISCHIO. Ora a rischio di “cacciata” c’è anche Federico Pizzarotti, in tensione con il leader per la raffica di espulsioni di queste settimane. Secondo Giovanni Favia, una delle prime vittime delle epurazioni grilline, «Pizzarotti è nella black list di Grillo da tempo». Il sindaco di Parma è stato bacchettato da Grillo anche per aver organizzato un appuntamento con sindaci e candidati sindaci del Movimento «in alcun modo concordato con lo staff, né con me». Se così fosse, il suo nome si aggiungerà a una nutrito gruppo di espulsi o fuggitivi dal grillismo dirigista. Ecco l’elenco.
Valentino Tavolazzi
Tempi.it lo ha intervistato più volte. Il consigliere comunale di Ferrara fu espulso per non aver «capito lo spirito del movimento», aver «organizzato fantomatici incontri nazionali in cui si discute dell’organizzazione del M5S».
Giovanni Favia
Consigliere regionale Emilia-Romagna. Cacciato da Grillo per aver detto che «la democrazia nel Movimento 5 stelle non esiste» e per aver definito Casaleggio «una mente freddissima, molto acculturata molto, intelligente, che di organizzazione, di dinamiche umane, di politica se ne intende».
Federica Salsi
Consigliere comunale a Bologna. Epurata per aver partecipato alla trasmissione televisiva Ballarò. In seguito dichiarò che i metodi del Movimento sarebbero la «versione digitale dell’inquisizione».
Fabrizio Biolè
Il consigliere regionale in Piemonte fu espulso per aver ricoperto per due volte l’incarico di consigliere comunale a Gianola in provincia di Cuneo.
Marino Mastrangeli
Il senatore pentastellato fu vittima di un’epurazione perché aveva rilasciato una intervista a Pomeriggio 5. Domandò perdono, ma Grillo non glielo concesse.
Antonio Venturino
Il vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana fu espulso per aver violato una delle regole fondanti del M5S: la restituzione, con rendicontazione, delle somme eccedenti 2.500 euro e i rimborsi spese. A tempi.it ha ricordato come Grillo avesse promesso che sarebbe stato solo «il portavoce del Movimento» e invece si è rivelato «un padre padrone».
Adele Gambaro
«Paghiamo la sua comunicazione sbagliata: venga in Parlamento e osservi di più», aveva detto la senatrice a Grillo dopo l’esito disastroso delle elezioni amministrative 2013. Niente da fare nemmeno per lei: epurata.
Vincenza Labriola e Alessandro Furnari
Passarono al gruppo misto della Camera quasi in silenzio, con un comunicato in cui dissentivano sulla gestione del caso Ilva e si lamentavano del «sogno spezzato» da parte di Grillo.
Paola De Pin
Dopo l’espulsione della Gambaro anche lei decise di abbandonare il M5S per protestare contro la «gogna mediatica» a cui era stata sottoposta la sua collega.
Fabiola Antinori
La senatrice decise di abbandonare volontariamente il Movimento in quanto fondato su un «sistema feudale».
Adriano Zaccagnini
Si dimise parlando di «clima irrespirabile» e affermando che «non è il Grillo il problema, quanto l’approccio aziendalista e non politico dello staff di cui si sta fidando».