Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Cara Guia, non mi sono fatta mancare niente. Fidanzati più giovani. Playboy più vecchi (quand’ero più giovane io: ora i playboy più vecchi di me hanno la dentiera). Secondi mariti che mi hanno intortata con la favoletta che loro erano inglesi e abituati alla Thatcher e certo non li spaventava la mia carriera e poi invece avevano come tutti il complesso di quelli la cui moglie porta i pantaloni (se penso a quel che non ho fatto per rassicurarli, sono arrivata a farmi fotografare mentre, con una gonna da donna d’altri tempi, davo da mangiare alle galline: nessuna si riduce più facilmente a povera cretina d’una donna intelligente con l’imperdonabile torto di guadagnare più del marito). Insomma, la mia vita sentimentale è stata considerevole. Però lo sai com’è: il primo amore si scorda quasi subito, ma il primo matrimonio mai.
Lui sì non aveva paura del mio successo. Lui sì non era così debole da temere la donna forte. Lui sì sapeva addomesticarmi (ancora salta fuori qualcuno, ogni tanto, che dice che mi avrebbe maltrattata; come si permettono, dico io, di farmi passare per una che si fa maltrattare; tutto perché una volta mi hanno trovata legata a una sedia – molti decenni prima di quei due loffi di Anastasia Steele e Christian Grey, ci tengo a precisare). Lui, soprattutto, mi ha fatto fare il mio disco più bello. Sì, uno potrebbe dire che l’ho fatto perché avevo 27 anni, ed è l’età alla quale gli dèi soffiano dalla tua parte, che non c’entra con chi sei sposata, a 27 anni Fassbinder fece Le lacrime amare di Petra von Kant e Marilyn piazzò in un solo anno Gli uomini preferiscono le bionde e Come sposare un milionario, a 27 anni sei onnipotente – ma io lo sono anche a 59, e ho deciso che era merito di quel primo marito lì, e detesto essere contraddetta (tranne che da lui).
Insomma, come dice un cantautore delle vostre parti, contavo su quella storia che certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano (ho persino pensato di incidere una cover, di quella canzone, ma il mio produttore ha minacciato di buttarsi dalla finestra dello studio di registrazione). Sotto i miliardi e i lustrini e i bicipiti da Popeye e le pose da maliarda, sono una romantica ragazza di provincia (della provincia americana, non so se hai presente: più provinciale della provincia di Cuneo): pensavo saremmo tornati insieme. Fra qualche mese sarà il trentennale della prima volta che gli ho chiesto il divorzio, mi sembrava una celebrazione perfetta, non riesco a pensare a una ricorrenza più romantica. E poi ci stiamo ancora molto simpatici. L’avrai capito: c’è un “ma”.
Mentre io facevo la scema col playboy anziano, il mio primo marito si risposava e figliava con un’inutile biondina. Una di quelle che tengono i capelli corti per sembrare intellettuali. Ho passato molti anni sulla riva del fiume, e finalmente, sette anni fa, il cadavere del loro matrimonio è passato. Certo, avranno sempre dei figli, quei legami eterni che sono una vera scocciatura. L’altro giorno ho visto una loro foto insieme, e neppure si sfioravano, plausibilmente stavano solo andando a fare i bravi genitori, ma i morsi della gelosia mi hanno lasciata qui, confusa, a pensare: ma la prima moglie sono io, non dovrei essere io il fantasma che infastidisce chi viene dopo?
Ciccone ’58
Cara vegliarda, sono abbastanza certa che quella canzone di Venditti parlasse in realtà di alimenti, chissà se ha voglia di riscriverla dopo la sentenza della Cassazione. Essere una donna forte è una faticaccia, ti tocca agitarti un sacco invece di stare a casa a fare il pizzo a tombolo aspettando che lui capisca di non poter vivere senza di te (oltretutto si rischia che lui lo capisca a un’età alla quale poi ti tocca cambiargli il pannolone). Essere una donna intelligente, invece, non basta neanche ad agire in maniera intelligente: perché diavolo non ci hai figliato trent’anni fa? A quest’ora avresti una scusa per chiamarlo: i bambini trentenni d’oggigiorno danno un sacco di preoccupazioni ai genitori.
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