I nostri atti ci seguono e ciascuno dovrebbe impiccarsi come martedì 28 ottobre, in una canonica, si è impiccato don Maks Suard, parroco della chiesa di Santa Croce a Trieste. Dicono che quel che aveva fatto il don era imperdonabile. Nel 1997 si era infatuato di una ragazzina tredicenne. E lui, giovane prete allora poco più che trentenne, la “abusò”, racconta la cronaca, con «approcci e avances sessuali». Adesso che quella ragazzina divenuta trentenne ha saputo che sua nipote frequentava la parrocchia di Santa Croce, è corsa in Procura e dal vescovo a denunciare il parroco.
Don Suard era stato un “pedofilo”. Il crimine più abominevole che c’è per un prete. E dire che adesso il sesso è più banalizzato e praticato (anche tra i ragazzini) di una cicca da masticare. E dire che è un caso raro (almeno nella Chiesa, la stragrande maggioranza dei casi di pedofilia ha come protagonisti persone omosessuali). E dire che don Suard aveva ammesso tutto. «Sì, è vero» ha confessato al proprio vescovo, ed è tornato in canonica a scrivere la lettera dell’addio.
Sul Corriere della Sera Giusi Fasano ne ha scritto con delicatezza e umanità. Ci sono ancora giornalisti in Italia. «Un uomo improvvisamente solo con i suoi rimorsi torna a casa senza più voglia di vivere. Pochi chilometri e molta, moltissima fatica. È irriconoscibile, quando apre la porta, quando si siede stanco come avesse scalato una montagna, quando prende carta e penna e comincia a scrivere. “Se solo avessi potuto immaginare tutto il danno che le stavo facendo…”. Pare di vederlo, don Maks Suard. Chino sulle parole che scrive al suo vescovo e sotto il peso di un ricordo riemerso da un passato lontanissimo. Ci mette tre giorni a fare i conti con il mondo e a implorare Dio di perdonarlo perché sta per fare la cosa più imperdonabile di tutte: uccidersi. Martedì è il giorno della fine. Alle quattro del pomeriggio il vescovo Giampaolo Crepaldi lo chiama per avvisarlo: “Sto arrivando”. “Va bene” risponde lui. E si impicca, sapendo bene che sarà monsignor Crepaldi a trovarlo».
Cosa c’è da commentare in questo gesto? Nulla. È nell’aria che respiriamo il compimento da bar sport. «Pace all’anima sua, ma non ci può essere pietà per un pedofilo». Che, poi, in altri tempi e contesti, l’avrebbero semplicemente preso a pedate e mandato in un qualche esilio purgativo del grande peccato. E invece no. Noi siamo moderni. E perciò siamo purgati dal New York Times. Noi siamo colonia. Perciò il senso dello scandalo e dell’indignazione ce lo insegnano i conquistatori.
Neopuritani, noi pensiamo con la testa della folla globalizzata americana e ci indigniamo di certe cose (pedofilia) e riteniamo normalissime altre (l’uccisione di un bambino in pancia), secondo lo stimolo pavloviano, la psicologia, il tabù, imposti dalla mass-culture dominante.
Abbiamo la doppiezza e l’ansia addosso proprie del puritanesimo. Dobbiamo dimostrare che il male è fuori di noi e che il bene siamo noi (che siamo persone pulite e nessuna azione immonda ci sfiora). Siamo il trionfo dell’apparenza borghese. E ansia dell’apparire ciò che nessuno è. Poiché ciascuno uccide l’oggetto del suo amore. Il vile lo fa con lo sguardo, l’animoso lo fa con la spada, lo squilibrato con la pedofilia.
Noi moderni «si guadagna in sensibilità e si perde in visione. Se sentivano meno, altre epoche vedevano di più, anche se vedevano con l’occhio cieco, profetico, insensibile dell’accettazione, vale a dire della fede. Ora in assenza di questa fede siamo governati dalla tenerezza. Una tenerezza che da tempo, staccata dalla persona di Cristo, è avvolta nella teoria. Quando la tenerezza è separata dalla sorgente della tenerezza, la sua logica conseguenza è il terrore. Finisce nei campi di lavoro forzato e nei fumi delle camere a gas». Finisce con la gogna e l’impiccagione.
Questa è Flannery O’Connor. E l’impiccato che diciassette anni orsono, quando aveva poco più di trent’anni, fece «approcci e avances sessuali» a una ragazzina tredicenne, fu don Suard. Un uomo come noi, nell’epoca sensibile a tutto, ma che non vede più niente. E perciò non cerca altro rimedio alla propria cecità, alla propria disperazione, che distrazioni.
Ma un giorno sarà pianto e stridore di denti anche per te – uomo comune o pagliaccio, papa o imperatore tu sia – che non hai avuto pietà per un pedofilo.