Sarà lumaca o capretto il D’Alema autunnale? La lumaca è stata evocata in una lunga telefonata a Sanza, nuovo plenipotenziario di Cossiga, dallo stesso D’Alema. Che teme di fare la bava, come capita appunto alle lumache, nell’angusto recipiente in cui lo vogliono ridurre certi alleati imbaldanziti o frustrati dalle elezioni di giugno. Il capretto è stato invece evocato da Cossiga, che ne ha descritto uno scuoiato e speziato, pronto alla cottura nel forno di Prodi e Parisi, e in qualche modo somigliante al presidente del Consiglio. Ma più che per la sorte di quest’ultimo, l’ex capo dello Stato è apparso preoccupato del posto che gli organizzatori del banchetto vorrebbero assegnargli a tavola. Egli teme la fine che gli riservava da bambino la nonna materna, che “alcune volte – ha raccontato – mi mandava in cucina per punizione”. “A me o ai miei amici non mi manderanno in cucina né Veltroni né Parisi”, ha detto Cossiga. Il quale prima o poi, magari aiutato dall’amico psichiatra Alessandro Meluzzi, che fa parte della sua piccola squadra parlamentare al Senato, ci racconterà per che cosa fosse in particolare punito nella casa sassarese della nonna, appartenente all’aristocratica famiglia dei Berlinguer. Su uno o più tavoli, in sala da pranzo o in cucina, con i domestici, il capretto D’Alema sembra comunque destinato per Cossiga ad essere mangiato, cioè apprezzato più da morto che da vivo, come è naturale che sia, del resto, per ogni buon capretto.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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