Non poteva sopportare l’idea di aver tradito gli amici, anche se sotto costrizione e minaccia. E così l’avvocato Zhang Kai, che si è sempre battuto per i diritti umani e per il rispetto della libertà religiosa in Cina, contro ogni prudenza e sapendo ciò a cui andava incontro, si è rimangiato pubblicamente le parole che il partito comunista gli aveva messo in bocca ed è stato di nuovo fatto sparire dalle autorità.
«RITRATTO TUTTO». «I commenti negativi contro alcuni colleghi sono stati estorti contro la mia volontà. Le interviste sono state ottenute con la paura. Davanti alla mia fede cristiana e alla mia libera coscienza, ritratto tutto», ha scritto l’avvocato in una nota pubblicata online pochi giorni fa. «Le dichiarazioni nascono dalle pressioni subite da me e dai miei anziani genitori. Sono stato impotente nel resistere. Oggi voglio confessare a Dio la mia debolezza e la paura nel mio cuore e nel mio spirito. Chiedo perdono ai familiari degli altri arrestati».
DIFENSORE DELLE CHIESE. Zhang Kai è diventato famoso in Cina nel 2015, durante la campagna di demolizione di croci e chiese che va avanti dall’inizio del 2014 nel Zhejiang e non accenna a finire. Da allora sono già state demolite più di 2000 croci e abbattute decine di chiese. L’avvocato si è distinto per avere impedito al partito comunista di demolire la chiesa di Xialing, nel distretto di Lucheng (Wenzhou), con mezzi legali: ha fatto quattro diverse azioni legali contro il governo locale e l’ha spuntata. Il partito comunista ha fatto marcia indietro. La voce del successo inaspettato si è sparsa in tutta la provincia e nel giro di pochi mesi le chiese clienti di Zhang sono salite a un centinaio. Temendo il successo dell’avvocato, il 25 agosto dell’anno scorso la polizia l’ha fatto sparire.
LE PAROLE ESTORTE. Di lui non si è saputo più nulla fino al 2016, quando è stato condannato a sei mesi di carcere, in parte già scontati. A febbraio è stato costretto a una confessione televisiva, a marzo è stato rilasciato sotto cauzione e a patto di non parlare con i media. Ma Zhang ha sentito il bisogno di parlare. Voleva rimangiarsi le parole che gli erano state estratte con la forza durante il processo contro alcuni suoi colleghi avvocati. Di loro fu obbligato a dire a una televisione: «Dal mio punto di vista personale penso che si siano spinti troppo oltre [nel criticare il governo]. Ritengo che la corte li abbia trattati con giustizia» condannandoli a diversi anni di carcere (solo per aver fatto il loro lavoro).
«LASCIATELO IN PACE». Tan Chenshou, avvocato di Zhang, ha dichiarato ieri a Radio Free Asia: «Dopo quelle parole, la polizia da Wenzhou è arrivata fino alla Mongolia interna per trovarlo. Sono andati diretti a casa sua. Ora lo aspetta una grande persecuzione. Le autorità devono rilasciarlo e permettergli di vivere una vita normale». Ma il partito comunista non permette di vivere una vita normale a nessuno che metta in dubbio la sua autorità e che ne sveli i crimini. Zhang è tornato infatti a fare parte delle centinaia di avvocati e difensori dei diritti umani che sono stati arrestati in massa da Pechino a partire dal luglio dell’anno scorso, in un giro di vite senza precedenti.
«SOFFRIRE CON CHI SOFFRE». Scriveva la madre in una lettera aperta al figlio, durante la sua detenzione: «Ma è proprio necessario mettersi contro il partito? Non potevi semplicemente fare un po’ di soldi? Tu non mi ascoltavi e prendevi in carica solo casi di interrogatori [illegali], aborti forzati, diritti umani violati, chiese perseguitate». Alla madre che cercava di dissuaderlo dal fare il suo lavoro, Zhang rispondeva: «Anche se siamo impotenti e incapaci di cambiare la storia, possiamo sempre piangere con coloro che piangono, soffrire con coloro che soffrono».