Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Aveva detto che il “capitano” era andato a casa sua a Bologna nel 2009 a minacciarlo: «Sei una testa di cazzo, tu devi pensare a tua moglie e tuo figlio». Aveva detto che era alto un metro e 70. Aveva detto che aveva una giacca colore coloniale, pantaloni scuri e fazzoletto bianco nel taschino. Aveva detto che forse era lui l’autore della busta anonima che gli era stata recapitata con dentro cinque cartucce. Aveva detto che il “capitano” collaborava col “signor Franco”, uomo importante nella trattativa Stato-mafia.
Tutte queste rivelazioni di Massimo Ciancimino erano finite sulla stampa, in particolare su Repubblica, e di lì, a cascata, su altri quotidiani e sul web, con articoli così titolati: “Ha un nome il ‘capitano’ della trattativa Stato-mafia” e “Indagato lo 007 che minacciò Ciancimino. Il funzionario del Sisde gli avrebbe detto di tacere su Berlusconi e trattative”. Rosario Piraino, il nome dell’agente che operava sotto copertura, fu messo nero su bianco. Carriera rovinata, trasferimento, inevitabile congedo.
Trascorsi sei anni si è scoperto che: il giorno delle presunte minacce, lo 007 era a Palermo e non a Bologna; che nessuno, vestito alla maniera descritta da Ciancimino, era entrato in casa sua quel giorno; che l’agente è alto più di un metro e 90. Sei anni dopo, grazie agli avvocati Ferrara e Gruttad’Auria, Ciancimino è stato condannato a un risarcimento di 50 mila euro per calunnia. Aveva detto, non era vero e pagherà. Avevano scritto, non era vero, ma non pagheranno.
Foto Ansa