«Non ho nulla da nascondere, non me ne andrò mai dal Venezuela». Dopo aver pronunciato queste parole ieri Leopoldo Lopez Mendoza si è consegnato alle autorità del paese, al termine dell’ennesima marcia di protesta per le vie di Caracas contro il governo Maduro. Durante la manifestazione i sostenitori di Lopez si sono vestiti di bianco per sottolineare l’innocenza del loro leader, accusato dal successore di Hugo Chávez di essere il responsabile del sangue che sta macchiando questi giorni di protesta nel paese sudamericano. È ormai durissimo lo scontro in Venezuela tra l’opposizione, che esprime il disagio di un paese ormai ridotto in ginocchio dal fallimento del progetto chavista, e Nicolas Maduro, che quando non risponde con la violenza manda in piazza contro-cortei di sostegno alla linea governativa.
PROTESTE E REPRESSIONE. La tensione si è alzata in particolare mercoledì 12 febbraio, quando la grande manifestazione studentesca organizzata nella capitale è stata repressa con la forza dalla polizia: 3 giovani sono rimasti uccisi e altri 66 sono stati feriti. Da subito il governo ha risposto alle proteste con la mano pesante, bloccando all’opposizione l’accesso alle tv e censurando le foto su Twitter delle manifestazioni. Lo stesso Lopez è stato costretto a registrare il suo messaggio e diffonderlo in rete: «Non sono colpevole di nulla e scenderò in strada con il popolo. Non mi nascondo e mostrerò la mia faccia». Così è stato, e con il suo arresto la sfida al “socialismo del XXI secolo” è destinata a salire ancora di livello.
ELETTO DUE VOLTE SINDACO. La carriera politica di Lopez si è sempre giocata all’opposizione, contro la “revolución bolivariana” intrapresa da Chávez e proseguita, in peggio, con Maduro. Il leader di Voluntad Popular, partito di centro che chiede più democrazia, non ha ancora 43 anni ma ha già un curriculum di tutto rispetto. Negli anni Novanta ha studiato ad Harvard, negli Stati Uniti, nel 2000 è stato eletto sindaco di Chacao, una delle cinque municipalità di Caracas, sbugiardando i sondaggi che lo davano per sfavorito (51 per cento di preferenze). I suoi anni da alcalde sono stati all’insegna della lotta alla criminalità e dello slogan “Chacao Territorio Seguro”, e quando nel 2004 è scaduto il suo mandato è stato rieletto a furor di popolo con l’81 per cento di voti. Avrebbe poi voluto provare a portare quell’esperienza politica anche a livelli più alti, ma nel 2008 è stato interdetto dai pubblici uffici con l’accusa di corruzione. Nel novembre di quell’anno non è stato l’unico a ricevere tale divieto: con lui, altri 300 politici furono esclusi dalla vita pubblica del Venezuela, probabilmente a causa delle pressione dello stesso Chávez, che temeva per la propria rielezione.
LE MINACCE DI MORTE. Quella diffida non è stata la sola ricevuta in questi anni da Lopez, osteggiato in ogni modo dal regime chavista: dal 1998 a oggi le accuse nei suoi confronti sono state decine. E a dichiarare guerra all’ex sindaco di Chacao non è stato solo Chávez: anche la criminalità organizzata di Caracas gliel’ha giurata. Nel 2006, ad esempio, Lopez è stato sequestrato per alcune ore durante un incontro in università. E qualche mese dopo un uomo della sua scorta è stato ucciso in un blitz per strada, raggiunto da sei colpi di pistola: era seduto in auto dove di solito si accomodava lo stesso Lopez. Eppure, nonostante le minacce violente e la persecuzione giudiziaria, l’ex sindaco non ha mai rinnegato le proprie convinzioni, anzi si è buttato con ancora più passione nella vita politica del paese. Una passione di famiglia, visto che Lopez è nipote di un ministro dell’Agricoltura e discendente del primo presidente del paese, Cristobal Mendoza, che rese indipendente il Venezuela nel 1811. Lo scorso anno, Lopez ha sostenuto la candidatura di Henrique Capriles, che ha perso per pochi voti la corsa alla presidenza contro Maduro. Quest’ultimo adesso lo accusa pubblicamente di essere un «codardo fascista» e di sostenere un golpe strisciante con l’aiuto di Washington. Ma difficilmente questi slogan in stile Chávez convinceranno le migliaia di persone scese in piazza con lui per chiedere diritti, sicurezza e politiche economiche più serie.