Pur conoscendo la prigionia e le terribili sevizie a cui sono costrette le figlie, i loro padri sono ancora capaci di sperare. A raccontare la situazione in cui vivono le famiglie delle studentesse nigeriane di Chibok, rapite nell’aprile del 2014 dai terroristi islamici di Boko Haram, è stata Kristin Wright, presidente di Open Doors Usa. «Uno dei papà, quando gli è stato chiesto “dove credi che sia tua figlia?”, ha risposto: “È nelle mani di Dio”». Inoltre, continua Wright, la stessa certezza è condivisa «da tutti i genitori che ho incontrato».
LE MINACCE. Delle studentesse cristiane si sa ben poco, ma si ipotizza che siano state violentate, costrette a convertirsi e date in moglie ai terroristi. Abigail John, 15 anni, scappata da Boko Haram dopo un mese di prigionia, aveva raccontato: «Mi dicevano che le ragazze di Chibok avevano cominciato una nuova vita, imparando a combattere. Insistevano che anche noi saremmo dovute diventare come loro e accettare l’islam (…) si divertivano a raccontare come le frustavano e le picchiavano fino a quando non cedevano».
Una delle ultime testimonianze è di un’altra quindicenne, Victoria Yohanna, sfuggita ai jihadisti dopo essere stata rapita il gennaio scorso a Baga insieme ad altre 400 persone: «Ogni mattina prendevano gli ostaggi per educarli nella scuola islamica. Dicevano che il corano è la religione di Dio».
IN CONTINUO PERICOLO. Secondo Wright, la zona resta in pericolo, continuamente minacciata da un nuovo attacco terroristico. Anzi «a Chibok le cose sono persino peggiorate. Pensereste che con i riflettori puntati dai media la situazione in questa zona sarebbe migliorata, ma sfortunatamente il problema della sicurezza è ancora allarmante. Tanto che questi padri affrontano il pericolo ogni giorno, dovendo proteggere le loro famiglie».
Le difficoltà per raggiungere Chibok sono, infatti, enormi. E nonostante la campagna #bringbackourgirls, lanciata dopo il rapimento, avesse fatto pensare «ai genitori che la situazione sarebbe cambiata», ora «sono costantemente spaventati dal fatto che Boko Haram attacchi nuovamente». Infine, ha concluso Wright, «queste famiglie, in molti casi, si sentono incredibilmente dimenticate dalla comunità internazionale».