Sedotti e abbandonati. Stasera si ritroveranno contro a quell’amante che gli ha fatto girare la testa, ma che forse, per come era solito stargli dietro ai tempi di Chelsea e Inter, sarebbe più corretto chiamarlo padre. Lui è José Mourinho, i figli sono Wesley Sneijder e Didier Drogba: l’incrocio tra le loro carriere sportive rende ancora più unica la partita di stasera tra Galatasaray e Real Madrid, quarti di finale di Champions. Tutti e tre a correre per poter avere ancora una volta tra le mani la coppa con le orecchie. È quasi un’ossessione questo trofeo per Mourinho: con prepotenza è diventato la pagina focale della storia del calcio europeo degli ultimi 10 anni, entrando con la sua genialità nel palmares della Coppa Campioni. Se ne andrà da Madrid a giugno, a Londra già lo aspettano: non prima però di aver tentato di specchiarsi per la terza volta sulla superficie argentata di quella coppa. Dopo aver fatto fuori lo United, il suo Real è tornato ad essere il grande favorito, pronostico rafforzato dall’accoppiamento benevolo con i turchi del Galatasaray, tra le squadre più abbordabili rimaste in gioco.
L’IVORIANO FU «COME UN FIGLIO». Così l’urna di Nyon gli ha messo contro due suoi pupilli, due ragazzi che han costruito il proprio successo seguendo i dettami del Profeta di Setubal, il quale a sua volta dalla loro classe ha costruito vittoria, fama e storia. Drogba arrivò al Chelsea che era un esuberante bomber esploso al Marsiglia: nei Blues targati Mou raggiunse la consacrazione totale, incoronato come uno dei migliori giocatori africani di sempre. Su lui e Mou Abramovich costruì la torpediniera russa all’assalto dei mari inglesi ed europei: Oltremanica l’attaccante spopolò, mentre la Champions gli mancò per un soffio. La vinse praticamente da solo lo scorso maggio, abbattendo il Bayern nel fortino di casa a suon di colpi di testa e rigori. Lo Special One però aveva abbandonato il Tamigi da tempo. «La gente dice che Mourinho stravedeva per me, io ero come un figlio», raccontava proprio ieri in conferenza stampa. «Se non rendevo però, non giocavo. Questa era la cosa grande con lui: era il suo vero marchio di fabbrica». Parole al miele che fanno eco a quanto detto dallo stesso lusitano sull’ivoriano: «Ho allenato tanti giocatori speciali, ma se dovessi fare un nome direi Drogba». Quando i sorteggi han detto che si sarebbero trovati contro si sono scritti via messaggio: finalmente ci re-incontreremo.
SNEIJDER: «MOU SECONDO PADRE». La love story che invece unisce Sneijder al portoghese ha tratti forse meno gradiosi, almeno in termini di lunghezza, ma proprio per questo più romantici: è una nota dolce e fugace, durata un anno solo, il 2009-10, quello del Triplete. L’anno spaventoso di un’Inter coi fiocchi, un gruppo dove ognuno corre per l’altro e dove l’olandese è il regista del successo, voluto proprio da Mourinho. Alle spalle i dubbi delle annate agrodolci a Madrid, dimenticati in fretta seguendo le orme di José. Un assist dietro l’altro, le reti pesanti, la progressione in Champions: la vittoria a Kiev contro la Dinamo, il successo sul Chelsea, quello sul Barça, la finale col Bayern… Da quella serata magica qualcosa si è inceppato nei muscoli del folletto magico di Utrecht: infortuni e incomprensioni tattiche certo, ma di fondo a mancargli è il rapporto con Mou. «Per me è stato come un secondo padre. Lui non è come tutti gli altri; ti aiuta, ti sprona, ed è attento a tutto». I sali-scendi della sua carriera ne sono la prova: l’idillio con l’Inter si è rotto ufficialmente lo scorso gennaio, con la partenza per Istanbul. L’ironia del calcio lo ha spinto ad accettare un trasferimento forzato, dove ora però si trova a correre per una coppa che pochi mesi fa a Milano era solo un lontano ricordo. Parte svantaggiato il Galatasaray: inutile spendere parole sulla forza del Real. Ma a spingere i turchi ci saranno i muscoli di due fuoriclasse che non vogliono sfigurare. Sotto gli occhi del padre che li ha consacrati.