Dopo due mesi a Dili per seguire il referendum che ha sancito una maggioranza schiacciante a favore dell’indipendenza scatenando la reazione delle forze paramilitari, una settimana fa, la polizia ci ha obbligato, come tutti i giornalisti, a sgomberare l’hotel Makota dove risiedevamo. Il giorno dopo l’hotel è stato attaccato e distrutto dai militari e noi siamo stati costretti a trasferirci in territorio indonesiano: da quel momento, ci hanno spiegato i militari, non sarebbe più stato possibile garantire l’incolumità e qualsiasi cosa sarebbe potuta accadere…
Ora ci siamo istallati a Kupanti (?), la località in territorio indonesiano dove sono costretti a evacuare i profughi e da qui cerchiamo quotidianamente notizie presso le basi della resistenza e dei guerriglieri. Anche perché è quasi impossibile accedere ai campi profughi per la presenza tra gli sfollati di miliziani delle forze paramilitari impegnati a dare la caccia a tutti i bianchi presenti e in particolare ai portoghesi. Nelle ultimi due giorni siamo riusciti a contattare i guerriglieri sulle montagne, proprio nelle ore in cui una delegazione dell’Onu si recava nell’isola costringendo i militari indonesiani ad una, seppur sommaria visto le condizioni della città, operazione di cosmesi che ha portato un momentaneo cessate il fuoco e a una pausa della carneficina. Ovviamente, giusto il tempo necessario a far ripartire gli uomini dell’Onu. Dopo di che la presenza militare è stata ulteriormente rafforzata con l’arrivo di altri soldati indonesiani immediatamente inviati sulle montagne per attaccare le basi della resistenza dove, tra l’altro, molta della popolazione sta cercando rifugio. Secondo quanto dichiarato da un volontario di “Medici senza frontiere”, nel comando dei guerriglieri che ha base sulle montagne intorno a Dili arrivano ogni ora centinaia di profughi e al momento i rifugiati sarebbero già circa 6mila. Se al momento è impossibile quantificare esattamente il numero dei combattenti della resistenza, purtroppo, invece, ci sono già cifre certe sul genocidio della popolazione di Timor-Est. Le fonti parlano di 7mila morti sicuri, 113mila deportati a Timor-Ovest e circa 200mila rifugiati sulle montagne su una popolazione di 800mila abitanti.
Naturalmente l’arrivo in massa di rifugiati non fa che complicare la già precaria situazione della resistenza. È lo stesso comando con base sulle alture sopra Dili a spiegare la drammaticità delle loro condizioni. Innanzitutto, spiega Makan Ruak, capo dei guerriglieri e comandante della quarta brigata che ha base nel territorio di Manatuto, non dispongono di alcun ricovero per i 6mila profughi arrivati, tra cui molte donne e bambini, esposti, quindi, esposti al freddo delle montagne. inoltre, non ci sono viveri sufficienti a sfamare tutta quella gente la quale, per ora, si sta nutrendo alla meglio con tuberi e radici; e, infine, non c’è alcuna possibilità di soccorrere i malati e i feriti presenti, data l’assoluta penuria di mezzi. O l’Onu invia al più presto una forza di pace che metta fine al massacro, spiega Ruak, o è sicuro che gran parte dei rifugiati moriranno in breve tempo. Ad oggi sulle montagne di Dili sono già morti per fame, malattia e sfinimento circa 300 bambini.
“Ora leggo che anche il ministro della difesa indonesiano Wiranto afferma che stanno pensando di autorizzare l’arrivo di una forza internazionale di pace – ha commentato ironicamente Ruak -. Già altre volte alle dichiarazioni ufficiali ha fatto poi seguire decisioni pratiche del tutto contrarie. E infatti, anche in questo caso, proprio mentre affermava la volontà di permettere l’arrivo di forze di pace, a Timor sbarcavano nuove truppe dell’esercito indonesiano con l’ordine di marciare sulle montagne per dar la caccia ai guerriglieri e alla popolazione civile. Come è possibile fidarsi di certi uomini?”.