Carissimi, voglio anzitutto dire il mio grazie a tutti voi nelle varie espressioni che realizzano e abitano questo storico centro di cura ospedaliera, scientifica e di insegnamento alle nuove generazioni. Un saluto speciale rivolgo, attraverso di voi, agli ammalati, alle mamme che stanno aspettando di partorire, ai bimbi appena nati e ai tanti anziani che ho avuto modo di visitare poco fa, alcuni nella fase finale della loro esistenza. Non voglio dimenticare chi ha responsabilità mediche e infermieristiche, né i vari operatorie e quanti hanno il compito di guidare una realtà così imponente dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo. E così radicata nel cuore della nostra città.
Non è un caso se visitiamo durante il santo Natale questi luoghi di prova e sofferenza. Perché, come ci dice la liturgia di questi giorni, l’altissimo ha fatto irruzione nel tempo per andare incontro, Lui che è Dio, infragilendosi, a chi è nel bisogno. L’arcivescovo è il parroco di questa grande e articolata famiglia ospedaliera. E agisce attraverso i vari diaconi, le suore e quanti di voi partecipano all’azione ecclesiale che qui si svolge. Ma è bene che lui stesso possa rendersi conto, in un’interfaccia con chi è gravemente segnato dalla malattia, di che cosa significhi fino in fondo la sua missione, il suo compito e ultimamente di dove stia andando lui stesso, nella vicende della sua vita e nell’apertura alla prospettiva della sua stessa morte.
Questa Chiesa è stata dedicata ai Santi Innocenti e, anche se oggi dobbiamo fare un’eccezione veramente radicale a celebrare la santa Messa degli innocenti in questo giorno di feria natalizia, è provvidenziale essere qui. Pensando a questo momento mi sono ricordato di un bellissimo passaggio di Charles Péguy sui Santi Innocenti. Scrive l’autore che ha dedicato a loro un’opera: «Questo è grave. Bisogna dirlo. Essi furono presi per Lui. Furono massacrati per Lui. Invece di Lui, al Suo posto». Non solo a causa di Lui, ma per Lui, contando per Lui. Essendo come Lui. Il mistero di questa festa è realmente impressionante per noi. Per questo la Chiesa dia un peso così rilevante al sacrificio di bambini che, come ci dice la liturgia, non erano in grado di produrre una coscienza su ciò che stavano subendo. Anche se, come avviene sempre durante l’infanzia, attraverso i loro genitori questa coscienza viene offerta a loro. Come accade anche nel battesimo.
Ma ciò che è più imponente nell’annotazione di Péguy è che questi piccoli innocenti anticipano in qualche modo quello che Gesù fa: Gesù muore al nostro posto. Lui che era l’innocente assoluto, Lui che poteva non morire. E se abbiamo casi di persone che muoiono al posto d’altri, Gesù era l’unico uomo che per la sua singolarità poteva non morire ed è per questo che morendo per noi ha vinto la morte. Ebbene, gli infanti muoiono anche loro al posto di Gesù. Ecco perché la Chiesa li venera con tanta intensità.
Un uomo della nostra terra, il beato don Gnocchi, ha riflettuto a lungo sul dolore innocente, partendo dalla sua esperienza con i mutilatini, ma sono certo che anche voi avete avuto occasione più volte in questo contesto di riflettere sul dolore innocente. Nella pedagogia del dolore innocente don Gnocchi parla di un’arcana confluenza del sangue dell’uomo nel fiume redentore del sangue di Cristo che scendendo dal Calvario si diffonde nel mondo beneficamente e attraversa la storia. Questo dolore, anche nella sua forma più radicale, ha un senso è per qualcuno e per qualcosa. Il dolore dei bambini, degli anziani, come ho visto sta mattina ridotti allo stremo ha senso. È in questo solco che si inserisce la vostra opera. Il vostro singolare e straordinario lavoro. Certo, si guarda oggi in molti modi alla vita e alla morte per cui si sopporta, dimenticandosi radicalmente il senso dell’umano, la tragedia dell’aborto. E si specula su come si debba accompagnare alla morte l’anziano, o chi è gravemente o irreversibilmente segnato dal punto di vista umano. Ma per chi ha una prospettiva sull’umano che non scavalca via dei pezzi, che lascia a Dio tutto il suo spazio e riconosce il rapporto tra l’uomo e Dio come sostanza di ogni essere umano, non ha dubbi sul fatto che il dolore, la malattia e la vecchiaia abbiano un significato che chiede e urge salute. E questo significato innesta nella domanda di salute di ogni paziente, più o meno consapevole, la domanda di salvezza. Pertanto noi cristiani, nella speranza certa della Resurrezione che Gesù ci ha meritato, possiamo affermare con forza, quanto san Paolo dice nella lettera ai Romani: tutti siamo potentemente sostenuti ed amati, destinati ad essere figli nel figlio…
In questa visione si apre la grande strada per il vostro operato. E chi ama la vita eterna ha la percezione che non sia un astratto al di là ma che, per il dono che Dio ci fa, la vita eterna cominci qui. Per questo tutto fa e deve fare per sconfiggere il male. Lungi dall’essere in posizione remissiva, davanti alla domanda di guarigione apre mente e cuore al tentativo di sconfiggere, con realismo e senza deliri di onnipotenza, il male. Ecco l’importanza del vostro lavoro e la straordinarietà di questa presenza nel cuore nostra città, con un peso internazionale nel suo sforzo di ricerca che assecondi questa relazione intima che Dio vive con ogni uomo.
Si dice spesso, erroneamente, che la Chiesa limita la ricerca. Non c’è niente di più falso. La sola raccomandazione che la Chiesa fa al ricercatore è di non nascondersi dietro una presunta oggettività della ricerca per non impegnarsi in prima persona a essere uomo fino in fondo, cioè capace di rispettare una visione dell’uomo e il comportamento etico, di conseguenza adeguato, che sia veramente rispettoso di come le cose sono in sé stesse. È a te, medico, che la Chiesa raccomanda di essere uomo compiuto e di sapere fin dove puoi arrivare rispettando integralmente l’umano e dove invece non ti puoi avventurare. Dentro questa premessa, poi, ogni sforzo deve essere fatto perché la sofferenza sia lenita il più possibile, perché il male sia limitato, perché il dolore sia il più possibile superato e contenuto. Così che nell’esperienza della prova e del dolore la persona possa darsi la riscoperta del rapporto costitutivo che fa il mio io.
Perciò, l’augurio per voi e per i malati è di vivere fino in fondo quello che dice san Paolo: la collaborazione del nostro spirito con quello di Dio. Se siamo figli di Dio siamo eredi di Dio e se ci tocca prendere parte alle sue sofferenze è per partecipare alla sua gloria. In questo si misura la forza di Milano, che solo così può pensare di attraversare anche tempi difficili. E solo nella prospettiva della misericordia divina che si può genere una nuova genialità capace di ripresa.