vi voglio parlare di un incontro avvenuto l’11 giugno, il giorno che sono andata in rianimazione a fare il mio “solito” cambio cannula e la broncoscopia. Devo precisare che è da settembre del 2012 che vado in reparto, fino ad allora la cambiavo a casa, ma da quando mi sono capitate delle cannule difettose che mi hanno devastato la trachea, quando faccio il “cambio-cannula”, devo fare anche la broncoscopia per vedere l’andamento della trachea.
Ma sorvoliamo sui miei “guai” (tanto ho deciso di fregarmene della trachea, che si arrangi da sola!) e torniamo al mio incontro. Purtroppo in rianimazione non fanno in tempo a mandare a casa un malato di Sla che lo “rimpiazzano” con un altro. Ica – l’infermiera factotum della rianimazione, che se non ci fosse bisognerebbe inventarla – aveva detto a questo nuovo amico che sarei andata in reparto a fare il cambio cannula e, se gli faceva piacere, avrebbe potuto conoscermi.
Così, Ica e Fabrizio sono venuti a prendermi e mi hanno portato a conoscere Battista. Devo dire che, per la prima volta in vita mia, ho avuto fretta di andare in rianimazione.
È stato un incontro emozionante per entrambi. Battista è un bel signore con un sorriso radioso, curioso, e amante della vita. Abbiamo chiacchierato un po’ col labiale e un po’ col cartello, capendoci benissimo. Sapete, noi ci siamo dovuti “specializzare” nella comunicazione e ci facciamo capire in tanti modi. Nel frattempo ci ha raggiunto dottor Vidili che, scherzando, ha detto a Battista: «Non te la guardare così, questa è la “capobanda” dei malati di Sla! Non hai visto come entra in rianimazione senza permesso? Ormai è la padrona!».
Eh caro babbo, gli ho risposto mutamente, sono ormai quasi 9 anni tracheotomizzata e mi avete salvato la vita non so quante volte, qualche privilegio l’avrò pur acquisito! Ormai la rianimazione è la mia seconda casa, avrò pure qualche diritto? Poi sono la più anziana come patologia, e mi prendo tutte le “libertà” di questo mondo. L'”anzianità” ha i suoi privilegi, e poi io con la “mia faccia di cartone” faccio il resto! Abbiamo continuato a scherzare per un po’ e, prima di andare via, ho detto a Battista di sbrigarsi ad uscire di li, che saremmo andati a fare un giro insieme.
Non potete immaginare come sono andata via a malincuore, col cuore stretto e che lacrimava, perché “io so” cosa vuol dire rimanere in un reparto di terapia intensiva; praticamente sei solo tutto il giorno nonostante ci sia tanta gente e anche se medici e infermieri entrano nella tua camera sempre con un sorriso, nonostante il loro grande daffare, sei comunque molto solo.
Logicamente, gli infermieri e i dottori non possono rimanere a lungo a scambiare due parole perché hanno da salvare tante vite. Credetemi, in rianimazione non esiste né giorno né notte a causa delle numerose emergenze e un malato di Sla vede il gran correre di medici e infermieri. Così, io capivo benissimo lo stato d’animo del mio amico nel vedermi andare via, perché anche io mi rattristavo quando i miei cari dovevano lasciarmi. Dovete sapere che in rianimazione si può entrare, al massimo, in due per volta, perché ci sono persone gravissime e non si può fare confusione.
Vi posso assicurare che non è per niente piacevole rimanere dei mesi in rianimazione e dovrebbero sveltire le pratiche per ridurre la “nostra permanenza” lì una volta che siamo stabilizzati. Andando via mi sono ripromessa che “dovevo” aiutare Battista a uscire, dovevo trovare qualche maniera.
Due giorni dopo, Battista mi ha chiesto aiuto per uscire dalla rianimazione. Detto, fatto! Ho immediatamente scritto al direttore generale della Asl (chi più di lui poteva aiutarci?). Mi ha risposto la mattina successiva dicendomi che si sarebbe attivato immediatamente. Confidavo in lui, perché da quando mi ha conosciuto, «gli si è aperto un mondo che ignorava completamente». Appena avuta la risposta, ho fatto telefonare in rianimazione per dare la buona notizia al mio amico.
Perché vi racconto tutto ciò? Per dirvi qualcosa di importante: bisogna imparare a chiedere aiuto. Spesso appare come un’umiliazione, invece non v’è nulla di più grande che conoscere i propri limiti e chiedere il sostegno altrui. Questa, in verità, è una grande forza e chi come me è “costretta” a chiedere tutto, lo sa bene. Ma c’è anche qualcosa d’altro che voglio aggiungere: anche un malato di Sla, se vuole, può diventare utile. Io, per Battista, mi sono data da fare perché so quanto sia penosa la solitudine. Per un malato di Sla, passatemi il gioco di parole, è la peggiore malattia. Noi non vogliamo rimanere “isolati”! Amiamo la vita, la confusione, anche se qualcuno di noi ha paura di tutto questo, ma se gli tendete la mano e gli dimostrate che col vostro aiuto si possono superare tanti ostacoli, darete sicurezza a queste persone e molto probabilmente le renderete felici. Ci vuole così poco! Nessuno basta a se stesso!
Bacioni,
Susanna