Il Correttore di bozze, nella sua immensa magnanimità, oggi vuole solidarizzare con un collega colpito dalla poderosa macchina del fango di Internet. Questo collega è Marco Travaglio, cane da guardia della democrazia, giornalista di chiara fama, oracolo di tutti i garantisti dello Stivale. Il collega Travaglio ha pubblicato sul sito del Fatto quotidiano un articoletto intitolato “Ma, oltre a scrivere, ogni tanto vi leggete?”.
Cosa è successo, domanderà qualcuno di voi? È accaduto che il nostro campione della libertà di stampa si sia un pochino (ma appena un pochino) risentito per certi commenti che appaiono sulla sua pagina Facebook e sul suo blog. Commenti – a suo dire – poco edificanti, certamente poco pertinenti, di certo eterodossi rispetto al suo argomentare. E quindi? E quindi «è ora di riconoscere che molte volte anche il mitico “popolo del web” è una bella merda».
All’elegante sentenza, il sempre democratico collega è arrivato constatando che i suoi siti sono frequentati da marrani che vengono «qui solo per insultare (cari cerebrolesi, nessuno vi obbliga a leggermi)». Addirittura, esisterebbero dei gaglioffi che nemmeno leggono «quello che scrivo (l’altro giorno ho ringraziato chi è venuto a vedere il mio recital a Firenze, e un minuto dopo c’era già qualcuno che polemizzava: “Perché non vieni a Firenze?”)».
Per dire. C’è gente che pretende «che io dia sempre ragione a loro, al loro partito e alla loro squadra, altrimenti significa che appartengo a un’altra squadra e non sono indipendente (l’idea che io possa pensare liberamente quel cazzo che voglio senza che nessuno me lo ordini nemmeno li sfiora, perché pensano che tutti gli altri siano come loro)».
Il collega – mettendo in campo tutta la propria autorevolezza – scrive che esistono dei birbanti che «pretendono addirittura di dirmi quello che devo scrivere, e quando, e con quali parole: e se non lo faccio subito sono un venduto, un servo eccetera». Per non dire poi di quei malandrini che lo accusano di essere un prezzolato di Tizio o di Caio, solo perché ha parlato bene di qualcuno o qualcosa (il riferimento è a Beppe Grillo e al M5S). Qui Travaglio ha davvero ragione e il Correttore di bozze si sente in dovere di chiosare che il collega se scrive bene di uno è perché crede in lui. Crede nel suo progetto politico, nella sua statura morale, nelle sue denunce. Ad esempio, fino a poco tempo fa, Travaglio scriveva bene di Antonio Di Pietro. Ora, invece, non ne scrive più.
Il collega del Fatto, ovviamente, si scusa «con le tante persone sensate e raziocinanti che leggono e commentano», anche perché «rischiano di essere ormai sopraffatte e silenziate da chi, profittando dell’anonimato e dell’alto numero di frequentatori della pagina e del blog, vomita scemenze in libertà (ma, prima di scriverle, vi leggete?). Credo che il solo sistema per riportare un po’ di luce in questo manicomio sia di isolare i dementi e i disturbatori, evitando di rispondere ai loro messaggi e lasciandoli cuocere nel loro brodo, fino a esaurimento. Vediamo chi si stufa prima».
Nel frattempo, aspettando di capire chi si stuferà prima, beccatevi la chiusa dell’articolo: «Perché, parafrasando un celebre titolo di “Cuore” sul mitico “uomo della strada”, è ora di riconoscere che molte volte anche il mitico “popolo del web” è una bella merda».