In fondo, non aveva mai negato di pensarla in un certo modo. «La maternità surrogata? Soltanto come un dono. Se posso donare un rene a un’amica o a una sorella che grazie a questo sopravviverà, dov’è lo scandalo di far nascere un bambino grazie all’utero di un’altra donna?», aveva detto a Repubblica solo poco tempo fa.
La sentenza è stata appena pubblicata e dalle parole si è passati ai fatti: il giudice Melita Cavallo, prima di lasciare la toga e andare in pensione a fine 2015 dalla carica di presidente del tribunale dei minori di Roma, ha sentenziato a favore dell’adozione di un bambino da parte di una coppia omosessuale maschile della Capitale. Il bambino è nato grazie all’utero in affitto in Canada ed è la prima volta che la sentenza non viene appellata dalla procura minorile e diventa così definitiva. Una stepchild adoption a tutti gli effetti.
Dopo l’adozione incrociata di due lesbiche, un’altra conferma di quanto abbiamo sempre sostenuto: al di là della battaglia parlamentare e del dibattito politico nel paese, esiste un serio problema su quanto decidono i giudici nelle aule di tribunale. Non occuparsene significa lasciare loro mano libera. E questi sono i risultati.
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