Rosignano Marittimo. Dall’alto delle colline, nel pomeriggio di luglio, Rosignano con il suo castello chiaro sta di vedetta sul mare a sud di Livorno. Sulla torre del castello le lancette dell’orologio sembrano non muoversi, tanto lento scorre il tempo in questo pomeriggio bollente. Soffia scirocco, e porta un’aria molle di afa. Dietro le persiane socchiuse tutti, sembra, a quest’ora riposano; ti immagini nelle stanze ombrose – la luce che filtra dorata dagli scuri – il respiro faticoso dei vecchi.
Nei vicoli che s’arrampicano irregolari verso il castello solo le voci di noi, viandanti stranieri, sedotti e come tratti ogni passo più dentro la rete di stradine sghembe che si aprono talvolta, al fondo, su scorci del blu del mare: come un miraggio, lontano.
Alle finestre file di panni stesi, ora immoti, ora appena agitati da un alito di questo flaccido vento. Lenzuola, e maglie, e vestiti di bambini, pacifici stendardi di focolari domestici, dietro cui indovini le mani di casalinghe in grembiule che sapientemente attendono ai loro mestieri. E, sui davanzali, i fiori: gerani, astri, fucsie, colori sgargianti che rigogliano dai vasi di coccio inerpicati nell’angolo dove per una mezz’ora, ogni pomeriggio, arriva un raggio di sole. E quel cactus solitario affacciato a una finestrella di cucina, così spinoso e povero e bruttino? Come anche lui si inclina, anelante, alla puntuale visita del raggio promesso.
In una corte, all’ombra, su tre sedie impagliate messe in fila stanno sedute tre vecchie. Hanno vestiti a fiori sui corpi grossi, e tacciono nell’aria di luglio, assorte; incrociando a tratti solo rare parole – sul tempo, sul caldo – consuete e piane come in una familiare liturgia. Passa e va oltre sulla strada soltanto un cane, pigro, svagato, padrone certo di questa ora di quiete.
Dal belvedere dietro la chiesa in lontananza le ciminiere dello stabilimento Solvay fumano grandi soffi di vapore bianco, come se immensi pentoloni sobbollissero, là in basso, nei capannoni. E tra te e il mare questa distesa di tetti di tegole rosse di coccio, riarse, roventi sotto al sole alto; e l’agitarsi appena percepibile dei tralci di un fico, pesanti sotto le foglie turgide e i primi frutti. E oltre, ancora, il mare, splendente, piatto nella bonaccia; mentre lo scirocco porta con sé il profumo della macchia mediterranea, ora asprigno, ora, a zaffate, dolcissimo, struggente.
Cos’è, che intravedi in quest’aria languida, nell’ora più torrida di un pomeriggio di luglio? Mentre tutti riposano, nel silenzio di un vecchio paese arroccato sulla sua collina, tra i fiori abbaglianti, hai incontrato l’Estate: in persona, regalmente assisa sull’afa e le folate pigre di vento.