Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Mi ha scritto una email dalle Dolomiti un amico: «Ieri mi trovavo a 1.756 metri sul Crep di Pecol di Zoldo, tra Pelmo e Civetta. Con il binocolo ho potuto vedere, stagliate contro un cielo terso e di un azzurro incredibile, le piccole sagome degli scalatori avanzanti lungo il crinale sommitale del Pan di Zucchero, la punta più alta del Civetta (3.218 metri)».
Poi a sera, prosegue l’amico, «è rimbalzata a valle la notizia che uno di quegli scalatori sul crinale del Civetta era scivolato, e caduto per cento metri, e morto sul colpo».
Uno di quei puntini dunque – così appaiono gli uomini visti da lontano, attraverso un binocolo, su una parete di roccia – in una splendida giornata di fine estate era stato scelto, e chiamato. Vado a leggere sui giornali locali: aveva 31 anni, Michele, veniva da un paese del Trevigiano, ed era maestro d’asilo. Nelle foto, un ragazzone alto e forte, di quelli cresciuti in montagna, che ti immagini salire per i sentieri senza fatica, scherzando con i compagni in dialetto.
«Estote parati, mi pare sia il motto degli scout», commenta laconico il mio amico, chiudendo la sua email. Estote parati, siate pronti: dal Vangelo di Matteo («perciò anche voi siate pronti, perché nell’ora che non immaginate il Figlio dell’uomo verrà»).
«Siate pronti», e mi pare il massimo realismo, giacché siamo in fondo tutti come case piantate su una dorsale appenninica riottosa, che in una notte di colpo ci disarciona.
Bisognerebbe essere più realisti, bisognerebbe averlo sempre presente. Ma qualcosa ce lo impedisce, come se non fossimo capaci di vivere, pensando che potremmo morire domani.
Estote parati, a sentircelo dire non viene forse da fare gli scongiuri? In fondo siamo, almeno io mi sento, dei poveri pagani che credono solo nel qui e ora.
Se ci credessimo davvero in quella altra vita, se credessimo che la vita più vera è quella, quanto più liberi saremmo, e in fondo più capaci di vivere. Non così ricattabili, non così spaventati.
Ma il fatto è che questa vita, quella che tocchiamo, è anch’essa così forte e seducente, che ci si attacca come api ai fiori. Pur sapendo che in verità è inconsistente, e che in lei di niente siamo padroni.
E continuo a pensare a quella fila di puntini contro il profilo orgoglioso del Civetta vista nel binocolo del mio amico, come a un mistero, come a un dito indice puntato che mi dice: vedi?
Ma io sono lontana, distratta, abbarbicata alle mie povere fondamenta di vecchia casa appenninica: che non sa quando la faglia, sotto, in un sussulto improvviso la tradirà.
Foto Ansa