«Sembrava un esempio virtuoso di recupero del patrimonio culturale della Cina imperiale, spesso cancellato senza pietà per far posto ai grattacieli della Cina moderna. Un bel museo costruito in un villaggio dello Hebei, provincia a Nord di Pechino (…) con una collezione di 40 mila reperti provenienti dalle dinastie imperiali (…). Il più antico risalente a quattromila anni fa. Peccato che i tesori dell’arte fossero rigorosamente falsi. Lo ha scoperto un romanziere di Pechino capitato in quel villaggio, Erpu (…). Ammirando uno dei pezzi forti, lo scrittore si è accorto che qualcosa non quadrava. La didascalia davanti alla bacheca annunciava: “Vaso datato all’epoca del mitico Imperatore Giallo”, che avrebbe regnato sulla Cina millenni prima di Cristo. Il suo nome era inciso sul prezioso oggetto: peccato che fosse stato scritto in caratteri cinesi semplificati, introdotti solo nell’anno 1950. E ancora, un pezzo spacciato per pura dinastia Qing, guardato con attenzione ha rivelato decorazioni tratte da una serie tv di cartoni animati. Le autorità provinciali hanno chiuso il museo dei falsi».
Guido Santevecchi, Corriere della Sera
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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