San Sebastiano è il bello tra i santi e i martiri cristiani. Ma la sua bellezza, che va ben al di là della perfezione della carne con cui il mondo artistico lo ha rappresentato per secoli, è il tramite tra la civiltà antica, pagana, e quella cristiana: Sebastiano è un Apollo della fede, dio della bellezza, forgiato dalla forza e dal coraggio donatogli dal Signore. E’ anche l’unico santo che offre la sua nudità ai fedeli, come Cristo alla colonna, una scelta non di stile, né di gusto, ma un puro riferimento alla passione. Amato da pittori e committenti, le interpretazioni del suo martirio hanno costellato la storia dell’arte: colpito, ma non ucciso, dalle frecce (verrà poi decapitato), a spiccare è la sua integrità, la sua sanità fisica che non patisce le ferite. Per questo motivo il suo volto è spesso rappresentato sereno, senza alcun accenno al dolore o preoccupazione, come nella versione di Antonello da Messina conservato alla Gemäldegalerie di Dresda. Ma le eccezioni ci sono sempre, e il santo ritratto da Andrea Mantegna, custodito alla Ca’ d’Oro di Venezia, non trattiene la smorfia di dolore, accentuata dalla bocca aperta e dagli occhi rivolti al cielo come una disperata preghiera.
Gli appassionati del soggetto saranno ben felici di sapere che è attualmente aperta al pubblico, presso il Castello di Mirandolo, sede della Fondazione Cosso, la mostra intitolata San Sebastiano. Bellezza e integrità nell’arte tra Quattrocento e Seicento. Curata da Vittorio Sgarbi, la retrospettiva resterà aperta presso il maniero neo gotico fresco di restauro e immerso in uno dei parchi romantici più lussureggianti del Piemonte fino all’8 marzo 2015. 40 prestiti eccezionali, di opere realizzate da grandi e minori maestri attivi dal Rinascimento al pieno Seicento, ci fanno godere a pieno del soggetto sacro. C’è la versione di Perugino del 1490, della collezione Cavallini Sgarbi, dove il santo, con perizoma rosso, probabilmente richiesto da una committenza cardinalizia, è legato ad un albero in attesa del martirio che, sul calar della sera, non si è ancora consumato: di freccia ne vediamo soltanto una, che sfiora a malapena il drappo rosso. A colpirci è anche il rigoglioso prato con diverse varietà di fiori, che Sebastiano sembra quasi non voler calpestare, e lo sfondo gradualmente immerso nei toni blu della notte.
Presente anche lo ieratico, ma con sguardo fanciullesco, San Sebastiano di Raffaello (1501-1502), dell’Accademia Carrara di Bergamo: la fisionomia sognante del santo è dolcemente illuminata dalla luce che lo avvolge mettendone in risalto il colorito roseo; il mezzobusto e la piccola dimensione ci fa intendere che è una composizione realizzata per la devozione personale; l’unica freccia è tenuta dal santo vincitore tra le dita, vestito con abiti eleganti. Paris Bordone, Nicola Filotesio e Girolamo da Santacroce inseriscono il martirio del santo in una composizione con più gruppi: la prima, della Galleria Colonna di Roma, è la Sacra Famiglia con San Sebastiano, San Girolamo e la Maddalena (1530-1535), la seconda è la Madonna con il Bambino fra i santi Sebastiano, Antonio, Francesco e Rocco (1530 ca.), e la terza è la Madonna col Bambino tra i santi Giovanni e Francesco, Girolamo e Sebastiano e un donatore (1530 ca.). E’ illuminata da una luce caravaggesca che mette in risalto la perfezione del corpo, la tela di Dirck van Baburen o David de Haen, della Quadreria Vescovile dell’Arcidiocesi di Milano.
Sensualissimo il San Sebastiano trafitto da una freccia (1620 ca.) di Trophime Bigot, della Pinacoteca Nazionale di Siena, dove il santo svenuto e rassegnato, schiude le labbra appoggiando il braccio a un piano dove son disposti, tra gli oggetti, anche una camicia e un elmo. Jacopo Massa, detto Maestro del Lume di Candela, Giovanni Francesco Guerrieri, e Jusepe de Ribera, ci raccontano il momento in cui il santo, dopo il martirio, riceve delle cure: si tratta del San Sebastiano curato da Irene (1630 ca.) della collezione Pier Luigi Pizzi di Venezia, del San Sebastiano curato (1630 ca.) delle Collezioni del Palazzo Vescovile di San Severino Marche, e del San Sebastiano curato da Sant’Irene (1640 ca.), collezione privata. L’elenco potrebbe continuare, ma cosa ci sarebbe di meglio di coglier l’occasione e veder questo ricco corpus dal vivo?