Segnaliamo un paio di passaggi tratti dall’interessante reportage scritto da Fabrizio Gatti per l’Espresso dal cosiddetto “Ghetto” di Rignano Garganico (Fg), una «spaventosa baraccopoli», la «capitale delle bidonville nostrane. La più grande», dove moltissimi richiedenti asilo capitati nel nostro paese «riappaiono» dopo «un periodo variabile tra nove mesi e due anni» in cui hanno per lo più «tentato inutilmente di entrare in Francia o in Germania». Fallito il tentativo di lasciare il nostro paese, con o senza «un qualsiasi tipo di permesso di soggiorno», finiscono accampati qui. «La bidonville aumenta di dieci abitanti ogni ventiquattro ore», spiega Gatti. E infatti l’area «ha già superato il record di duemila persone e con la raccolta dei pomodori si avvia verso quota tremila», con tutte le conseguenze immaginabili: mancanza di lavoro, impieghi in nero, miseria.
L’ultima messa l’hanno celebrata a Pasqua. La penultima non se la ricordano nemmeno. Nella torrida pianura ai piedi del Gargano, a 40 chilometri dalla tomba di San Padre Pio, c’è una bidonville di oltre duemila abitanti dove trecento cristiani vivono segregati. La misera baracca, in cui ogni settimana un padre missionario veniva a santificare le domeniche, l’hanno bruciata una notte di due anni fa. Dai resti del luogo di preghiera hanno costruito un crocifisso per ricordare l’aggressione: due moncherini di legno carbonizzato, legati insieme da un nastro di plastica nero ricavato dai tubi che irrigano i campi di pomodoro. La croce adesso la conservano nascosta sotto uno scaffale. Non se la sentono di esporla. Hanno paura di nuovi attacchi: «Abbiamo paura, sì. La domenica preghiamo tra di noi senza farci vedere fuori». La vita dei braccianti nelle campagne della provincia di Foggia è già difficile. Ma per i trecento cattolici africani, isolati in mezzo alla maggioranza musulmana del Ghetto di Rignano Garganico, lo è molto di più. (…)
«Questa è la croce bruciata», dice sottovoce il bracciante nigeriano che la custodisce. La prende dallo scaffale. La mostra cauto, come fosse una sacra reliquia. E lo è. «L’hanno benedetta due volte. L’abbiamo fatta con i resti della baracca della fede che ogni domenica ospitava la messa. La baracca l’hanno bruciata una notte di due anni fa. Lei per fortuna non c’era. Poi qualcuno ci ha fatto capire che se non volevamo altri incendi non dovevamo pregare davanti ai musulmani. Anzi non dovevamo proprio farci vedere. Noi cristiani siamo una minoranza. Siamo del Togo, del Ghana, noi nigeriani. Trecento contro quasi duemila, troppo pochi. Così per paura di altri incendi abbiamo dovuto rinunciare alla messa. Solo a Pasqua abbiamo chiesto che venisse un prete. Almeno a Pasqua. Per il resto, preghiamo di nascosto. Loro hanno tre moschee qui. Ma nessuna baracca può essere usata come chiesa». Chi sono quelli che vi hanno fatto capire? «No, non facciamo nomi. Sono spie dei caporali, africani che non vivono nel Ghetto, vengono da fuori. Poche persone, ma stanno seminando paura. No, no, nessuno si è mai dichiarato a favore dei terroristi di Boko Haram o dello Stato islamico. I braccianti musulmani sono perfino solidali con noi. Con loro i rapporti sono buoni. Ma negli ultimi due anni è arrivata tanta gente nuova. E molti di loro non sembrano così tolleranti».
Una sera di febbraio un altro incendio, partito da una stufa a gas, ha distrutto la baraccopoli. «Abbiamo messo in salvo le nostre cose, la batteria, il pannello solare. Ma mentre stavamo tentando di spegnere il fuoco, ce le hanno rubate. Anni fa nessuno ti chiedeva di che religione sei. Ora ci dicono che non vogliono vedere croci o immagini di Gesù. Papa Francesco dovrebbe venire qui e scoprire con che fatica viviamo». (…)
Foto Rosario da Shutterstock