Pubblichiamo la rubrica di padre Aldo Trento contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Da una gravidanza indesiderata o dall’origine della disperazione? Da dove partiamo? Il 21 aprile scorso, una bambina di 10 anni, accompagnata dalla mamma, è giunta all’ospedale di Trinidad, un noto quartiere di Asunción in Paraguay, per una visita. Accusava dolori addominali. Dopo alcuni esami, è emerso che la bambina era incinta da poco più di 4 mesi e dalle prime fonti il responsabile sarebbe stato il patrigno. La polizia ha arrestato anche la madre della bambina per favoreggiamento.
La notizia ha scosso tutto il Paraguay e ha fatto il giro del mondo. È scattato il protocollo stabilito in questi casi dal ministero della Salute e nell’ospedale si è formata un’apposita équipe di specialisti che hanno assistito la bambina fin dal primo momento. Già all’ingresso in ospedale, il direttore aveva dichiarato che la bimba come il nascituro non presentavano particolari problemi; tuttavia, tenendo conto dell’età della mamma e del rischio di questo tipo di gravidanze, ha anche affermato che si poteva ipotizzare un aborto.
Naturalmente la stampa ha dato grande spazio alla notizia, Amnesty International e altre Ong hanno lanciato un appello al governo affinché la bambina potesse ottenere il trattamento medico necessario, compresa l’interruzione di gravidanza. Anche il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, culturali e sociali aveva chiesto al Paraguay di modificare la legislazione sull’aborto e di verificare la sua compatibilità con il diritto alla vita e alla salute. In Paraguay, infatti, l’aborto è permesso solo quando la vita di una donna o di una ragazza è a rischio. In nessun altro caso. «Il diritto alla vita è proprio di ogni persona umana. Si garantisce la sua difesa, in generale, fin dal concepimento», recita l’articolo 4 della Costituzione.
Qual è la cosa più importante che nasce davanti a un fatto di questa rilevanza, perlomeno se abbiamo due grammi di sensibilità e un briciolo di cervello? Non sono gli articoli di una legge, ma sono le domande più elementari. Perché un adulto abusa di una bambina? Perché una mamma si presta a tale disegno perverso? Siamo determinati completamente dalle circostanze che segnano la nostra vita: inizio, sviluppo e fine? Se è così, chi potrà salvarsi dalla cultura dello “scarto” che non perdona la debilità? Chi ci difenderà dalla intolleranza che non sopporta i segni più elementari del limite umano?
Se riflettiamo un po’ più a fondo, ci rendiamo conto che nessuno si può salvare in una cultura della morte. Ammettere ciò, tuttavia, sarebbe come riconoscere che abbiamo bisogno di ricominciare tutto di nuovo e questo risulta inaccettabile per il nostro cuore impaurito. Quindi, riempiamo i “buchi neri” con cliché del nuovo ordine mondiale: diritto a qualsiasi cosa, leggi, aborto, controllo totale su tutto.
Il senso della maternità
Chi ci insegna più a guardare la realtà senza risparmiarci le domande fondamentali? Soltanto una educazione che non censuri l’io può superare le riduzioni postmoderne che ci limitano e ci spingono a disfarci di tutto quello che non comprendiamo o che non controlliamo completamente. Solo una umanità che torna a interrogarsi fino a gridare: «Di che cosa siamo fatti? Perché desideriamo giustizia, bellezza, amore e poi viviamo come bestie?».
Certamente una bimba incinta è una ferita, però rappresenta anche un’opportunità per considerare quegli aspetti della realtà che spesso censuriamo: senso della vita, destino, felicità… Nelle radici della cultura paraguagia c’è l’annuncio del vangelo di Cristo. Una risposta integrale al dramma umano, che ha costruito una civiltà nelle selve del Sudamerica. Una risposta né semplice né chiusa che necessita di persone capaci di interrogarsi sopra il proprio destino prima di cedere al ricatto politico e al vuoto ciarlare della nuova etica dello scarto.
Ancora una volta mi risuona potente nel cuore e nella ragione quanto don Luigi Giussani ci disse quella mattina quando ci siamo svegliati con la sorpresa della vittoria dell’aborto con quel 68 per cento di “sì” del popolo italiano: bisogna partire da uno. Bisogna partire da Cristo. Un imperativo che vale anche nel cuore del Sudamerica dove ancora il senso della maternità vibra in ogni donna ed è più forte della stessa violenza.