Il parlamento di Strasburgo ha approvato ieri l’ennesimo provvedimento utile più che altro a regalare il solito titolo ai giornali: “L’Europa: l’Italia riconosca le nozze gay”. Spiega il Corriere della Sera: «Il Parlamento europeo si è rivolto con chiarezza, all’Italia e ad altri otto Paesi membri dell’Unione: bisogna dare diritti alle coppie gay. Di più: bisogna “considerare la possibilità di offrire alle coppie gay istituzioni giuridiche come la coabitazione, le unioni di fatto registrate, il matrimonio”». Questo il «monito preciso e severo» che è stato «sancito da un voto sul rapporto sulla situazione dei diritti fondamentali nella Ue firmato dalla 5 Stelle Laura Ferrara». Con uno “spunto” di questo tipo, era ovvio che l’attenzione dei nostri cronisti si sarebbe rivolta solerte alla disputa in corso alla commissione Giustizia del Senato, dove il famoso ddl sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso sta incontrando non pochi ostacoli. E infatti proprio il Corriere per l’edizione odierna ha deciso di intervistare per la seconda volta in pochi giorni la madre del disegno di legge, Monica Cirinnà.
«OSTRUZIONISTI». E nell’intervista la senatrice del Pd, per la seconda volta in pochi giorni, non fa che ribadire in cosa consista la famosa “linea del dialogo” che ha deciso di adottare nei confronti di quelli che lei chiama «dissidenti» (Lega, Ncd, Forza Italia). Innanzitutto, dice la Cirinnà, se sarà impossibile arrivare a sottoporre il testo all’aula del Senato entro il 15 ottobre (scadenza dettata da Matteo Renzi e dal ministro Boschi), sarà «una sconfitta per l’istituzione commissione che per definizione è il luogo della dialettica, del dialogo, della mediazione», e sarà tutta e solo colpa degli «ostruzionisti» che «non vogliono dare diritti alle coppie omosessuali».
«RAGIONAMENTO MEDIEVALE». In realtà è arcinoto quali siano le obiezioni dei «senatori che fanno ostruzionismo», e cioè sostanzialmente: l’istituzione della “stepchild adoption”, i possibili salassi generati alle casse dello Stato da alcuni diritti previsti nel ddl (ad esempio la reversibilità della pensione), i continui richiami alle norme relative al matrimonio presenti nel testo. Ma questo secondo la Cirinnà significa «non accettare l’idea delle coppie omosessuali». Commenta la senatrice: «A me non sembra possibile che nel terzo millennio si ragioni così. Sembra un ragionamento da Medioevo».
«SEGUO LE DIRETTIVE PD». E cosa significa, invece, essere disponibili alla dialettica, al dibattito, alla mediazione? La Cirinnà la mette giù così: «Non dobbiamo dimenticare che noi stiamo rispondendo alla sentenza della Corte Costituzionale numero 138 del 2010. Una sentenza che chiede di dare diritti pieni alle coppie omosessuali. Lo chiede con grande chiarezza. E noi stiamo cercando di rispondere a questo. Io eseguo le direttive del mio partito». Ecco le direttive: «Per dare i diritti alle coppie omosessuali il Pd ha pensato di realizzare le unioni civili alla tedesca con la “step child adoption”, ovvero la possibilità di adottare il figlio naturale del compagno. E il mio disegno di legge dice esattamente questo». Punto. Anche il “dialogo”, dunque, se vorrà essere tale dovrà attenersi rigidamente alle direttive del Pd.
DIALOGO MA NON TROPPO. Nella precedente intervista al Corriere la Cirinnà era stata anche più chiara: «I cattolici chiedono di ampliare la distinzione tra unione civile e matrimonio, eliminando alcuni legittimi rinvii al codice civile. Io ho un mandato del mio partito a costruire l’unione civile dando alle persone dello stesso sesso i doveri e i diritti reciproci degli sposati. Diritti sociali fiscali e previdenziali, reversibilità e, punto fondante delle primarie di Renzi, la stepchild adoption». Insomma, la Cirinnà e il Pd sono aperti alla mediazione, ma solo sulle quisquilie: «Se i cattolici vogliono levare alcune piccole cose simboliche, come il riferimento alla filiazione, le leverò». Tutto il resto è «Medioevo».
COSA DICE LA COSTITUZIONE. Comunque, a proposito della sentenza della Corte costituzionale a cui il Pd sta «cercando di rispondere», oggi Avvenire propone un’intervista a Cesare Mirabelli, uno che di Costituzione qualcosa ne capisce, essendo stato presidente della Consulta, e che sul tema delle unioni omosessuali si è espresso più volte, sempre ricordando che non è affatto necessario equipararle al matrimonio come sostiene il Pd. Anzi. Secondo Mirabelli «la giurisprudenza costituzionale è netta nell’escludere che si possano assimilare partnership tra persone dello stesso sesso e matrimonio». Infatti «nella Carta c’è una distinzione tra due entità che, pure essendo formazioni sociali, si diversificano. Sono, infatti, trattate in due diversi articoli: 29 per la famiglia, 2 per le altre. Nelle unioni si tratta di disciplinare rapporti personali e patrimoniali di coppia e non una situazione relativa alla famiglia come istituzione sovraindividuale. Il dato affettivo – anche per le convivenze more uxorio – non è sufficiente a determinare un’assimilazione. E non ci si può arrivare per via di interpretazioni creative, come ha espressamente detto la Corte costituzionale, che vanno contro il dettato della Carta».
TASSE NO, NOZZE GAY SÌ? Non è vero neanche che sia l’Europa a chiederci di approvare dei simil-matrimoni gay. «Dire che il futuro europeo ci riserva la strada di dover approvare i matrimoni omosessuali è una forzatura», spiega Mirabelli. «Dal punto di vista internazionale non c’è un sufficiente consenso. E c’è la libertà degli Stati, non di ignorare le unioni civili tra persone dello stesso sesso, ma di disciplinarle in maniera diversa dal matrimonio. Non ci vogliamo fare imporre dall’Europa se dobbiamo abolire o meno l’Imu e ci dobbiamo fare imporre una disciplina, parlo del matrimonio omosessuale, prevista, faccio un esempio extra-Ue, da appena una decina di Stati sui 47 del Consiglio d’Europa?».
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