«Forse dovrei chiamarlo l’ateismo senza l’esigenza del pensiero». Così la filosofa Catherine Chalier, allieva di Emmanuel Levinas, definisce gli atei del mondo contemporaneo in un’intervista ad Avvenire in occasione dell’uscita del suo ultimo libro: Il desiderio di conversione. Rosenzweig. Bergson, Weil, Merton, Hillesum (Giuntina).
Si spiega meglio Chalier:
«Molte persone si dicono atei, ma sembrano ignorare di quale Dio sono atei. Spesso si fanno un’immagine di Dio, consolatore e potente, per esempio, e quando non trovano né consolazione né potenza visibile di questo Dio nel mondo, allora si dicono atei. Ma il loro ateismo vale solo per l’immagine che si sono fatti di Dio. Spesso l’assenza visibile di Dio è vissuta come l’inizio positivo per celebrare il proprio modo di vivere lontano da lui. Non vi è nessuna lacerazione spirituale in questo ateismo».
Poi rifila una stoccata all’ateo Michel Onfray:
«Dirsi atei è un’affermazione che dovrebbe sapersi misurare con esigenze difficili. Per citare Michel Onfray, egli compie un ritratto caricaturale delle teologie di cui parla, e poi per lui è facile mostrare che non vuole credere a questa caricatura! Egli per esempio dice che ha “letto” il Talmud, cosa che è semplicemente ridicola, perché il Talmud non lo si legge, lo si studia, con gli altri, e questo per tutta la vita! Che voglia essere ateo, perché no? Ma che faccia la caricatura della fede e pretenda di conoscere quello che non conosce, questo mi indigna».