Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Monferrato, aprile. Cammino sola per i campi, sotto a un cielo di un profondo azzurro. All’oro delle forsizie mi sono abituata, come all’abbondanza profumata dei glicini e al verde rigoglioso dell’erba. Ma, guarda, sembra che su quel piccolo albero si sia posato uno sciame di farfalle rosa. Ora che mi avvicino prenderanno il volo, penso. Ma le farfalle restano ferme: perché sono fiori, i fiori di un pero cotogno, ad aprile. La fioritura dura forse tre giorni, bisogna cogliere l’istante: ma che spettacolo il bagliore pallido di questi grandi petali che oscillano a ogni alito di vento, come in un respiro.
Tre giorni in tutto l’anno. Per il resto del tempo il pero cotogno è un qualunque gracile alberello, che nessuno nota. Che cosa strana, che per poche ore si illumini dei suoi fiori fragili, come toccato da una grazia. Che cosa misteriosa è, in realtà, anche questa primavera, vado pensando fra me, andandomene fra le colline. Ora, all’inizio di aprile, siamo nell’attimo in cui la vita già scorre, acerba, con una grazia infantile. Non è l’esuberanza piena di maggio, è il bambino che barcolla, felice, nei primi passi incerti.
Su un muro al sole dorme una lucertola. Al mio avvicinarmi scivola via rapida, lampo di verde sulla terra scura, argento vivo che brilla e fugge. E le piccole rane che dai fossati gracidano, fini e insistenti? Anche loro, come sentono i miei passi, scappano. Un tonfo lieve e poi solo cerchi che si allargano, concentrici, sull’acqua opaca. Questa vita nascente si mostra e fugge, come temendo di essere catturata. Bisogna coglierne l’attimo, l’istante consistente in cui si palesa. Me ne resta un frammento ineffabile, come se avessi sfiorato qualcosa di molto bello e grande, che subito se ne è andato.
Cammino ancora, dentro a uno stupore che si allarga. Ogni fiore di campo, ogni foglia mi pare linguaggio in codice, messaggio silenzioso che bussa: «Davvero non mi vedi?». Bussa alla mia coscienza sempre arrabbiata, che costantemente protesta che questo Dio non si vede, e non si tocca.
Eppure stamattina nella solitudine delle colline c’è una presenza forte e quasi sfrontata, che si lascia scorgere. Per un istante, poi scompare – come i fiori del pero cotogno, che sbocciano per poche ore. Forse, mi dico, se questa vita nascente di aprile si mostrasse immobile, afferrabile, la sua bellezza sarebbe insostenibile.