Una valutazione dopo un corso di formazione sui Bisogni educativi speciali (BES), con un preparato gruppo di esperti dell’Università cattolica di Milano, sul tema: LA CORNICE NORMATIVA E LE STRATEGIE DIDATTICHE ED EDUCATIVE PER L’INCLUSIONE.
Interessante, per almeno tre ragioni.
1. La normativa. Poiché la legge non indica solo procedure e strumenti, ma promuove un principio. In questo caso il principio è l’inclusione. Tutti a scuola e mai più scuole speciali.
2. I numeri. Pare che i ragazzi con difficoltà di apprendimento – disabili, dislessici, disgrafici, ADHD (da Deficit di Attenzione/Iperattività) e altro – siano circa 1.000.000 (un milione) su una popolazione scolastica (scuola primaria e secondaria) di poco più di 7.000.000 (sette milioni) di persone.
Il che significa due cose:
- Sono tanti i bambini, i ragazzi e i giovani che faticano ad accedere alla conoscenza.
- Sono tanti gli adulti, insegnanti in questo caso, e genitori aggiungiamo noi, che faticano a sostenere il rapporto con i nostri/loro figli (perché hanno paura, perché non sanno cosa dire, perché sono soli ecc.) e trasformano una faccenda educativa in un caso patologico. Il che significa un’altra cosa: c’è in questo Paese un problema enorme. E c’è un grande bisogno di adulti, tra cui gli insegnanti, che siano in grado di assumersi la responsabilità di tirar grandi i nostri figli e che siano decisi a farlo.
3. La politica. Per fare questo sarebbe di grande aiuto un sistema libero, capace di valorizzare chi ottiene risultati, pronto a comprendere e governare i cambiamenti in atto eccetera eccetera. Invece siamo fermi allo stato ottocentesco, siamo qui a discutere di scuola statale e paritariasenzaparitàreale, facciamo documenti sulla BUONA SCUOLA e di questo neanche parliamo, elaboriamo studi pedagogici nelle nostre Università, per di più non statali, e non diciamo niente in proposito.
ALLORA UNA PROPOSTA: Cari Presidenti del Consiglio, cari Nazareni tutti e due, il documento sulla scuola intitolatelo in questo modo: Libertà di educazione. Educazione della libertà.
Caro Rettore dell’Università cattolica, perché non suggerisce anche lei questa ipotesi di lavoro?