Prima di scambiare due parole sul caso Berlusconi guardiamoci un po’ intorno.
Primo fatterello: la Francia del socialista Hollande ha arrestato a Nizza e si appresta a rispedire in patria il signor Muxtar Qabılulı Ablyazov, che da noi in Italia il quotidiano Repubblica e la pubblicistica mentalmente subalterna ai signori della “nota lobby” si ostina a definire semplice “dissidente” (ovviamente per condire la campagna contro il berlusconiano ministro Alfano e contro il governo Letta, colpevole di “larghe intese”, ovvero di “intelligenza col nemico”).
Secondo fatterello: Barack Obama, perfettamente indifferente alle richieste della giustizia italiana e del quotidiano diretto da Ezio Mauro, ha riportato a casa da Panama l’agente Cia che la giustizia italiana ha condannato a una decina d’anni di reclusione, contro il quale la magistratura milanese ha emesso mandato di cattura internazionale e che volentieri la stessa magistratura avrebbe voluto trascinare a San Vittore per il crimine di sequestro e restituzione all’Egitto di Hassan Mustafa Osama Nasr, detto anche Abu Omar, imam di Milano, fiancheggiatore del terrorismo islamista.
Si tratta soltanto degli ultimi due (degli innumerevoli) episodi che in casa nostra hanno provocato terremoti ricorrenti nei palazzi di governo, consueti ululati mannari contro la politica, corsi e ricorsi di umiliazione, paralisi e ridicolizzazione del nostro parlamento, delle nostre forze dell’ordine, dei nostri servizi segreti. In casa altrui (vedi Francia, Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti eccetera) gli stessi o analoghi casi sono trattati d’ufficio e senza troppi rumori mediatico-giudiziari. E decisioni vengono prese e attuate immediatamente in difesa delle ragioni di Stato e dell’interesse nazionale. In casa altrui (vedi i paesi summenzionati), nessun governo, parlamento, servizi segreti, si sogna di chiedere il permesso all’Italia e, quindi, a quella parte di magistratura italiana e di giornalismo italiano direttamente incorporato alla magistratura che ritengono di andare in giro per il mondo allo stesso modo con cui vanno in giro per l’Italia. In casa altrui (vedi sopra), sanno bene in quali condizioni democratiche disperate si trova l’Italia, in balia di una parte della magistratura (sostenuta da giornali manettari e grillini) che non ci pensa due volte a chiudere fabbriche o a smantellare servizi segreti o a mettere sotto inchiesta asset strategici nazionali o a rovesciare per via giudiziaria un esito elettorale o a rendere di fatto impossibile il governo di una Nazione. In casa altrui, dicevamo, conoscendo come vanno le cose Italia, ci vuole niente per condurci in guerra contro gli interessi strategici italiani (vedi campagna di Libia). Ci vuole niente a soffiarci le commesse in paesi come India, Nigeria, Kazakstan (vedi casi Eni e Finmeccanica inseguite dalle inchieste giudiziarie). Ci vuole niente a fare man bassa delle nostre aziende (vedi casi Pernigotti, Loro Piana, Bulgari, Emilio Pucci, Acqua di Parma, Fendi, Gucci, Pomellato, Dodo, Bottega Veneta, Brioni, Sergio Rossi, Algida, Bertolli, Carapelli, Sasso, Santa Rosa, Flora, Parmalat Galbani, Invernizzi, Cademartori, Locatelli, Président Buitoni, Sanpellegrino, Perugina, Motta, l’Antica Gelateria del Corso,Valle degli Orti, Peroni, Gancia eccetera, alla media di un centinaio di aziende l’anno che passano di mano a inglesi, tedeschi, americani, olandesi eccetera).
Ecco, inquadrato per sommi quadri lo stato di inferiorità in cui si trova l’Italia rispetto al resto del mondo e, al suo interno, di disgrazia permanente grazie alla geniale consorteria di certa magistratura associata a certo giornalismo, adesso si può discutere del significato che ha la condanna dell’unico personaggio pubblico che da vent’anni combatte contro questo “destino” italiano. Ecco, inquadrato che dal 1992 in avanti, governo e parlamento italiano contano zero davanti allo strapotere di un pugno di giudici e di pubblici ministeri (con giornalisti passacarte giudiziarie in coda); appurato che passato in politica Di Pietro è arrivato De Magistris e che passati di moda entrambi è venuta l’ora degli Ingroia a Palermo e dei Woodcock a Napoli, e che passato Ingroia e cadente Woodckock è arrivato il “Viva i giudici!” di Beppe Grillo, resta pur sempre in piedi dal 1992 la Procura di Milano. La quale comanda al disopra di ogni potere scettrato. Ecco, adesso che per Berlusconi viene il tempo dell’arresto domiciliare o, in alternativa, i servizi sociali, ci si può finalmente domandare perché sono vent’anni che la Procura di Milano indaga il politico Berlusconi e sono vent’anni che la Guardia di Finanza entra ed esce dalle aziende dell’imprenditore Berlusconi? (Chi lo odia visceralmente naturalmente non può farsi queste domande. Anche perché, se uno non odia Berlusconi cosa fa nella vita? Come fa a fare i soldi facendo gli affari giusti e i partiti puliti, le tv di veline giudiziarie e i giornali ciclostile di procura?)
Ecco, adesso che Berlusconi combatte la sua ultima battaglia, anche chi odia Berlusconi può chiedersi come mai possa capitare solo in Italia che due magnifici campioni apolitici dell’imprenditoria abbiano dovuto comprare ben due pagine del Corriere della Sera per dire cose che, mannaggia, assomigliano terribilmente a quelle che dice Silvio Berlusconi? È capitato due settimane fa, due paginate centrali del Corriere per dire che, incipit: «Non siamo più disposti a subire ingiustamente le accuse della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate, gli attacchi dei Pubblici Ministeri e la gogna mediatica a cui siamo sottoposti ormai da anni». Lo dicono Dolce&Gabbana. Ma lo pensano migliaia di imprenditori. E dieci milioni di elettori che votano Berlusconi. Lo dice Marchionne («non si può più fare industria in Italia») e lo dicono i sondaggi (Pdl primo partito).
p.s.: resta da chiedersi cosa aspettano lassù a fare la riforma della giustizia, l’unica riforma indispensabile perché l’Italia non affondi nel Mediterraneo. Perché tu puoi fare tutti i piani industriali che vuoi e tutti gli accordi europei contro la disoccupazione giovanile che vuoi. Ma se comanda la magistratura – un magistrato della Cassazione qui, uno della Corte dei Conti lì, uno del Tar giù, quello della Corte costituzionale su, e le Procure dappertutto – tu resti l’Italia. Un paese che negli ultimi sei anni ha perso qualcosa come 6 punti di Pil al Nord e 12 al Sud (dato Svimez, luglio 2013). Un paese che agli inizi degli anni Novanta, al tempo della famigerata Prima Repubblica, era per Pil e qualità della vita sopra la media Ue. Ora è sotto e col rischio di finire ancora più sotto – visto il debito, vista la congiuntura sfascista – sotto terra.