«E la sinistra dimenticò la giustizia» è il titolo di un servizio di Left sul tema “giustizia”. L’inserto settimanale dell‘Unità dedica la copertina al rapporto fra sinistra e magistratura, con due pezzi a firma di Donatella Coccoli e Rocco Vazzana. Che cosa dicono? Che la sinistra ha dimenticato la giustizia e che nella magistratura si assiste a una deriva partitocratica.
SINISTRA MANETTARA. Secondo il penalista Luigi Ferrajoli, uno dei padri di Magistratura democratica, una «parte della sinistra» ha rinunciato alla sua «cultura garantista» e «a una tradizione di tutela del più debole nei confronti della repressione, del sopruso, dell’abuso del potere giudiziario e anche di quello poliziesco», arrivando ad assumere, in certi casi, un «atteggiamento subalterno nei confronti del potere giudiziario». La sinistra si è «arroccata» in una posizione immobilista sulla questione giustizia non solo a causa di Silvio Berlusconi, spiega a Left, Salvatore Lupo, docente di storia contemporanea, ma anche di una parte della sinistra «non tanto quella parlamentare, ufficiale, quanto quella di opinione, costituita per esempio dalle dalla rete di organizzazioni per la legalità e l’antimafia», che ha preferito, spiega Coccoli, giornalista di Left, fornire «una sorta di delega al potere giudiziario».
MAGISTRATO MISSIONARIO. Con tangentopoli, «la figura del magistrato per i cittadini – spettatori dei processi-gogna in tv degli anni 90 – assume una funzione quasi salvifica», prosegue la giornalista di Left. «La battaglia legale contro la corruzione – mai combattuta prima di allora in modo così intenso – arriva a fare del pubblico ministero una specie di missionario». Valerio Spigarelli, presidente delle Unione camere penali, dice a Left che in quel periodo,«oltre alla perdita dell’identità garantista ed egualitaria, si fa strada una visione della legalità che per certi aspetti addirittura ricalca il modello della destra». «Cambia l’approccio culturale della sinistra e la parola d’ordine diventa “law and order”, lo slogan dei conservatori».
MAGISTRATURA PARTITOCRATICA. Left denuncia non solo l’immobilismo di una parte della sinistra ma anche quello delle toghe. Fra i magistrati, denuncia il settimanale di sinistra, c’è «un immobilismo “partitocratico” che rischia di ripercuotersi sui cittadini» ed «è sempre più difficile negare che i magistrati rispondano spesso a logiche puramente correntizie». «Chiunque – osserva Left – potrebbe essere giudicato da un magistrato promosso per fedeltà all’area di appartenenza, non per meriti». «È il bello dell’autogoverno – prosegue il settimanale di sinistra – un sistema concepito per garantire autonomia e indipendenza dalla politica. Una prerogativa costituzionale. L’autogoverno, che se mal governata rischia di diventare causa di possibili arbitrii».
Per fare un esempio, il settimanle ricorda la mail del togato Francesco Vigorito, membro del Csm in quota Area (Magistratura democratica) che nel 2012 rese pubblica per sbaglio una mail su una nomina. «In quella mail – ricorda Left – Vigorito si rammaricava per aver promosso una candidata interna alla corrente a svantaggio di un magistrato più esperto e titolato». Da ultimo, il settimanale ricorda il pasticcio della nomina di Franco Roberti a capo della Dna, finita con un ricorso al Tar da parte del concorrente Vincenzo Macrì. Motivo del ricorso? Uno sbaglio grossolano del Csm: le «referenze di uno dei due candidati (Macrì, ndr) scomparse dal tavolo della commissione esaminatrice».
INGROIA VS FIANDACA. Anche il senatore Pd, Luciano Violante, ha ribadito ieri in un’intervista al Corriere della Sera, che sulla giustizia, «in questi 20 anni c’è stato un blocco ideologico, anche alimentato da una pressione elitario-borghese esterna al Parlamento, che ha teorizzato: “Con Berlusconi non si fa nulla”, “con la destra non si tocca nulla”». La polemica fra sinistra garantista e sinistra “manettara”, si interseca a quella su Giovanni Fiandaca, giurista penale, candidato alle europee dal Partito Democratico e accusato da Antonio Ingroia, ex pm e leader di Rivoluzione Civile, di essere un «uno dei principali giustificazionisti della trattativa stato-mafia».