Sarà pur vero che, come premette lo stesso Pierluigi Battista, «non c’è nulla di più ridicolo delle beghe tra giornalisti». Ma spesso quelle beghe sono anche divertenti. La ripicca contro Marco Travaglio che oggi il corsivista del Corriere della Sera consegna ai lettori, per esempio, vale sicuramente una segnalazione. Più volte bersagliato da Travaglio, che lo ha soprannominato “Cerchiobattista” per dileggiare il suo “peccato” di terzismo, Battista scrive che finora non aveva mai replicato alla «macchiettistica maniacalità» del collega per un semplice motivo: «Contro un fanatico non c’è argomento che tenga».
IL CASO DEL TURCO. Ieri, però, nel suo consueto editoriale sul Fatto quotidiano, Travaglio è stato particolarmente corrivo nei confronti di Battista, reo di aver criticato il processo per corruzione contro Ottaviano Del Turco sostenendo che la procura «non aveva nemmeno controllato le date delle foto scattate dall’accusatore e dei pedaggi autostradali». Forte di una nuova perizia secondo cui quelle date sarebbero invece compatibili con le tesi dell’accusa, Travaglio ne approfitta per ironizzare sulla professionalità di Battista. Ed è per questo che, al di là della vicenda in sé, la disputa diventa un «fatto personale», come spiega quest’ultimo.
ZERBINO SARÀ LEI. E chi di fango ferisce, di fango perisce. L’articolo di Battista è un occhio per occhio. «È difficile dover ingoiare in silenzio l’ultima lezione di deontologia professionale dall’autore dell’intervista più inginocchiata della storia», scrive il giornalista riferendosi al recente faccia a faccia fra Travaglio e Beppe Grillo, «a pari merito con quella di Gianni Minà a Fidel Castro e di Emilio Fede a Silvio Berlusconi». Il problema di Travaglio, secondo Battista, è proprio che lui «non argomenta, mena». Ma «mena sempre, tranne davanti al potente che gli sta di fronte». E questo vale tanto per Beppe Grillo quanto per il peggiore dei nemici di Marco: «Quando a Travaglio è capitato di dover contrastare Berlusconi in una puntata di Servizio pubblico, tutti ricorderanno l’umiliante tremolio dell’eroico paladino al cospetto del nemico che lo stava strapazzando».
COME BERLUSCONI. Quanto al caso Del Turco, continua Battista, «qualcuno si domanda come mai, se davvero le prove erano tanto “schiaccianti”, l’accusa abbia chiesto per ben due volte un supplemento di indagini per trovare un corpo del reato ancora irreperibile: ma la logica non alberga nella testa dei guardiani della rivoluzione». Perché il vicedirettore del Fatto è «il pasdaran di ogni accusa, la guardia pretoriana di ogni pubblico ministero. La difesa dell’imputato? Un inammissibile attacco alla magistratura. Un giusto processo? Una scocciante perdita di tempo». Travaglio secondo Battista è schierato con le procure in modo così acritico che «molti magistrati confessano il loro imbarazzo per tanto zelo». Salvo però scagliarsi contro le toghe come un Berlusconi qualsiasi quando quelle mettono nel mirino la parte “sbagliata” della trincea (Battista cita il caso Ingroia). «Essere menati da un tipo del genere – conclude la penna del Corriere – è un rischio che bisogna correre».