Il mestiere del giornalista cinematografico è un’arma a doppio taglio. Tutti invidiano la possibilità di andare al cinema “gratis”, di vedere sempre i film in uscita con qualche giorno d’anticipo rispetto agli altri e di conoscere con sufficiente precisione le date di uscita dei film più attesi. Tutto vero e sacrosanto, il buio della sala è una piacevole costanza, spesso mattutina, quasi irrinunciabile. Ma spesso – e qui la medaglia si rovescia paurosamente – i fortunati come me sono costretti a sorbirsi pellicole di dubbio gusto e pessima qualità “perché bisogna vedere tutto, il bello e il brutto”. E il brutto, come sappiamo, avanza sempre più pericolosamente.
Nel 2009 nella redazione del giornale per cui lavoravo comparve l’invito per la presentazione del film Barbarossa, di Renzo Martinelli. Sapevamo che quel momento sarebbe arrivato e sapevamo anche che io e i miei colleghi ci saremmo dovuti sottoporre al fatidico sorteggio, pratica che tiravamo fuori in caso di “emergenza”: commedie americane di serie z, horror italiani (riuscite a ricordare l’ultimo film del terrore italiano che vi sia piaciuto?), film del regista tal dei tali “che nessuno si spiega come possa fare questo mestiere” e pellicole che sulla carta non promettono nulla di buono. Barbarossa rientrava di diritto nell’ultimo caso. Da settimane si parlava di questo kolossal italiano costosissimo, sponsorizzato da Umberto Bossi e dalla Lega Nord e intepretato da Raz Degan.
Sta di fatto che quel giorno di ottobre del 2009 la fortuna smise di sorridermi. Il sorteggiò fu impietoso e decretò il mio nome, mentre i miei colleghi tiravano un sospiro di sollievo e iniziavano a deridermi. Sarebbe toccato a me andare a vedere il film di Martinelli e così feci. Alle 21 di un giorno d’autunno in un cinema parrocchiale insieme a un pugno di persone dalla mia stessa aria affranta, io c’ero. Ed ecco cosa ho visto: 139 minuti infiniti e un cast che sembrava preso dal mio peggiore incubo. Cosa ci facevano Rutger Hauer (il famosissimo replicante di Blade Runner) e F. Murray Abraham (premio Oscar per la sua interpretazione di Salieri in Amadeus) accanto a Raz Degan e Kasia Smutniak? Chi li aveva convinti a indossare gli abiti di Barbarossa e di Siniscalco Barozzi? Povero Abraham, non poteva sapere che il solo nome del suo improbabile personaggio avrebbe scatenato il riso sfrenato della sala. Di quell’anteprima ricordo poco per fortuna, ma quel poco è tornato a tormentarmi ieri, quando distrattamente ho scoperto che la Rai stava trasmettendo il film di Martinelli in due puntate. In pochi minuti l’incubo è riaffiorato: Alberto da Giussano interpretato da un Raz Degan che di milanese non ha nulla, Kasia Smutniak che si contorce per le visioni, il cameo digitalizzato di Umberto Bossi, un doppiaggio fantozziano e una storia che rispetta davvero poco l’originale e dai dialoghi imbarazzanti. Cinque minuti sono bastati a riportarmi indietro a quel sorteggio maledetto, ma adesso so che non sono sola: altri 3.559 milioni di spettatori italiani ieri hanno visto la pellicola in costume. Pochi, molto pochi per gli standard televisivi, ma comunque molti di più di quelli che nel 2009 pagarono il biglietto e si sottoposero a tale tortura. Intanto ieri dopo molte prime serate il Grande Fratello ha vinto la gara dell’audience. Ma del resto, come dare torto a chi ha scelto Canale 5?
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