Questa è la storia di due bambine inglesi, nate tramite fecondazione eterologa, alle quali i genitori hanno «rovinato la vita» dopo essersele contese per sette anni insieme ai rispettivi compagni dello stesso sesso. Questo giudizio è stato dato da Stephen Cobb, giudice della sezione familiare dell’Alta Corte inglese, in una sentenza del 2014, che è stata pubblicata però solo pochi giorni fa.
IL PROCESSO. Dopo 30 ricorsi, Cobb aveva preso in esame il caso delle due bambine cresciute dalla madre e dalla compagna. Queste, a sette anni dal concepimento in provetta, erano state citate in giudizio dal donatore di sperma e dal suo compagno omosessuale, che volevano essere presenti nella vita delle bambine.
LE DUE DONNE. La corte ha stabilito che la maggiore delle figlie, di 13 anni, doveva avere contatti con il padre biologico, mentre i rapporti con la secondogenita di 9 anni si dovevano limitare alla corrispondenza. Secondo Cobb, infatti, «la mancanza importante nelle loro vite è causata dall’assenza di una relazione significativa con il padre». Nonostante i seri problemi presenti nella casa materna, inclusa la violenza fra le due conviventi, parlando della madre biologica come «dispotica» nei confronti della compagna da lei «fortemente dipendente», il giudice aveva definito le due signore assennate.
«INFANZIA ROVINATA». I servizi sociali avevano incolpato le conviventi di aver costruito «una fortezza con alte mura» intorno alle ragazze, per escludere chiunque fosse in disaccordo con loro. Al contempo, il giudice aveva incolpato i due uomini di «alzare la temperatura» del conflitto, dovendo ammettere che «il caso mostra chiaramente le immense difficoltà che si possono scatenare quando una famiglia viene creata con la fecondazione e un donatore non anonimo». Coob aveva aggiunto che «l’infanzia di A e B [i nomi veri non possono essere rivelati] è stata irrimediabilmente rovinata».
VOLONTÀ DELLA FIGLIA. La pubblicazione della sentenza svela un dettaglio in più, rispetto a quanto uscito l’anno scorso. La ragazza 14enne, infatti, non aveva nessuna intenzione di avere rapporti con il padre e il suo compagno omosessuale, desiderando «disegnare la sua conclusione», alla luce del fatto che la sua vita è stata «rovinata». Il giudice, però, ha ribadito: «Rimango certamente dell’idea che i padri hanno un reale valore e possono aggiungere qualcosa di importante alla vita delle ragazze». Se un padre è pur sempre necessario, in questo caso resta davvero difficile trovare il valore a cui appigliarsi.
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