Quello che noi osservatori dei fatti del Vicino Oriente temevamo e con angoscia avevamo previsto come sciagura inevitabile è successo: l’Isis ha attaccato i cristiani copti alla vigilia della visita del Papa in Egitto prevista per la fine di aprile. Quella missione è stata annunciata il 18 marzo, dunque con una tempistica insolitamente tardiva rispetto alla data prevista dell’evento, proprio nel tentativo di prevenire un attacco terroristico importante rendendone difficile l’organizzazione attraverso un preavviso molto breve. Questo accorgimento purtroppo non è bastato, e 45 cristiani egiziani ne hanno fatto le spese.
L’attacco dei jihadisti era totalmente prevedibile. Per loro la visita del Papa rappresenta un duplice schiaffo: un atto di legittimazione internazionale dell’odiato regime di Abd al-Fattah al-Sisi, e la profanazione di una terra islamica da parte di colui che nella visione degli estremisti è il capo spirituale dei crociati e degli infedeli. Qualunque cosa dica o faccia, per i fautori del califfato il papa di Roma resta il simbolo della “casa della guerra” (le terre e i sistemi politici non islamizzati) ostile all’islam che deve essere sottomessa, e le discussioni spesso scomposte all’interno del mondo cristiano sulla linea di condotta di Francesco rispetto all’islam e ai cristiani perseguitati sono per loro irrilevanti.
Nella propaganda dell’Isis Roma, papa Francesco e i cristiani copti rappresentano un’unica entità da sfruttare propagandisticamente per chiamare i musulmani a raccolta contro il nemico. Il tragicamente famoso filmato del febbraio 2015 che mostrava lo sgozzamento di 21 cristiani copti sulla spiaggia di Sirte in Libia si concludeva con l’annuncio che presto sarebbe stata la volta di Roma. Un altro filmato, prodotto dall’Isis all’indomani della sua campagna di morte contro le famiglie copte residenti nel Sinai nel febbraio scorso, mette in evidenza una foto che ritrae Tawadros II, papa dei copti, in compagnia di papa Francesco in occasione della visita del primo a Roma nel maggio 2013.
Gli obiettivi strategici del duplice attentato di Tanta e Alessandria sono molteplici: punire i copti etichettati come sostenitori del repressivo regime imposto dai militari all’Egitto, dimostrare che il governo di al-Sisi non controlla il paese e non offre alcuna garanzia di protezione delle minoranze, intimidire e ricattare il papa di Roma fino a farlo desistere dal viaggio programmato, mostrandogli che la sua insistenza non solo mette in pericolo la sua vita (il pari grado copto di Francesco, papa Tawadros, è sfuggito di poco all’attacco dell’attentatore di Alessandria), ma consegna alle rappresaglie jihadiste quella di decine di cristiani egiziani.
Francesco evidentemente non ha scelto di visitare l’Egitto per rafforzare il regime, esporre a rappresaglie i cristiani autoctoni e pronunciare discorsi conciliatori fra islam e cristianesimo destinati a restare sulla carta. È pienamente consapevole delle tensioni interne al mondo islamico, della “fitna” (termine coranico che indica le divisioni interne alla comunità dei credenti nell’islam) che contrappone sanguinosamente sunniti e sciiti, fautori dell’islam politico e musulmani avversari dei Fratelli Musulmani e delle altre versioni più o meno radicali dell’islamismo. Di queste tensioni fanno poi le spese le minoranze, prima fra tutte quella cristiana, di volta in volta capro espiatorio (è il caso soprattutto dell’Egitto), cespite propagandistico, nemico assoluto ideologico che permette ai jihadisti di mettere a segno punti politici, sfruttando o alimentando i pregiudizi contro i cristiani diffusi fra tanti musulmani del Vicino Oriente.
Il Papa dunque andrà in Egitto non solo e non tanto nell’ottica del dialogo fra islam e cristianesimo, ma in quella della riconciliazione fra egiziani, che per il 90 per cento sono musulmani. La riconciliazione, il compromesso politico e il perdono fra musulmani è condizione necessaria per la sopravvivenza e possibilmente un rinascimento di comunità cristiane nel Vicino Oriente. I copti d’Egitto, l’ultima grande concentrazione di popolazione cristiana nel Vicino Oriente, sono destinati all’espulsione violenta e all’esodo nel medio periodo se non si ricostruiscono le condizioni della loro accettazione da parte della maggioranza musulmana. Questa può essere guadagnata se si dimostra che i cristiani non vogliono schierarsi gli uni contro gli altri sulla base di un calcolo di convenienza, ma operare per la riconciliazione fra avversari che pur appartenendo alla stessa religione si affrontano sanguinosamente, ed essere uno spazio di incontro e di mediazione.
Questo i cristiani d’Oriente non possono farlo da soli: per ragioni storiche e strutturali non possono distanziarsi eccessivamente dai governi in carica, hanno quindi bisogno su questo punto del supporto dei cristiani occidentali. La visita del Papa avrebbe il massimo successo in termini di accresciuta protezione e rinnovato rispetto per i cristiani del Vicino Oriente se riuscisse a ottenere atti di clemenza da parte del governo del Cairo nei confronti dei detenuti politici islamisti. Questo cambierebbe completamente lo sguardo che sui cristiani portano tanti musulmani autoctoni e il clima politico dell’Egitto. Diversamente, assisteremo a un lungo massacro al rallentatore che non riguarderà soltanto i cristiani.
Foto Ansa/Ap