Gentilissima redazione, il 22 maggio era la festa di Santa Rita. Mia figlia, volontaria al banchetto del Bollettino di Santa Rita al Santuario di Milano, mi ha portato a casa una copia del novembre 1979 invitandomi a leggere l’articolo sulla scuola veramente libera, a firma di monsignor Carlo Calori, che vi allego per la bellezza e la sua grande attualità. Buon lavoro
Daniele Mondi
Quando uno Stato si autodefinisce democratico, occorre che si dia una legislazione in sintonia con l’autodefinizione e che faccia corrispondere la realtà all’immagine che presenta di se stesso. Elemento pregiudiziale all’esistenza di una vera democrazia in uno Stato è l’esistenza di un «corpus» legislativo che garantisca la pluralità delle strutture scolastiche in numero pari alle matrici ideologiche e religiose ed agli umanesimi che coagulano gruppi di cittadini, non importa in qual numero e proporzione, ne garantisca l’esistenza attraverso un’equa ripartizione fra esse dei fondi destinati all’istruzione pubblica, ne difenda la libertà e ne controlli e verifichi i livelli scientifici e tecnici d’operazione.
L’iniziativa privata in campo scolastico è imprescindibile ai fini di una crescita democratica e civile dei giovanissimi cittadini: uno Stato che si arrogasse il diritto della gestione in proprio, e addirittura monopolistica, delle scuole, definite appunto «statali», di fatto sconfesserebbe la propria conclamata democraticità e asservirebbe una struttura, il cui fine primario deve assolutamente essere quello della formazione dell’uomo e della sua educazione secondo presupposti etici, religiosi ed ideologici, ben precisi e propri dei genitori, per diritto naturale primi ed unici ed autentici «deputati» ad educare il soggetto in età minore.
I genitori debbono poter liberamente scegliere la scuola per il figlio e domandare agli operatori scolastici il loro diritto-dovere educativo e chiedere ad essi l’onestà di un impegno formativo e culturale che sia in accordo coi presupposti teoretico-esistenziali a cui i genitori stessi fanno riferimento: per cui – esemplificando – genitori atei sceglieranno per i propri figli una scuola improntata a princìpi educativi ateistici, genitori cattolici sceglieranno per i figli una scuola cattolica, genitori liberali eleggeranno una scuola ad indirizzo liberale, e via dicendo. Soltanto quando queste cose si saranno tenute in attenta considerazione ed avranno trovato attuazione storica, si potrà parlare di scuola libera e di libertà di scuola: prima d’allora (e in ltalia purtroppo la situazione è questa) non si potrà parlare se non d’indebita ingerenza dello Stato in un campo che non gli compete d’invadere e di cui si impossessa violando uno dei più elementari diritti umani: quello della libertà d’educazione dei singoli. Allo Stato compete invece inalienabilmente e soltanto il diritto di controllare i livelli di preparazione tecnica a cui le singole strutture scolastiche preparano e di verificare la bontà degli insegnamenti impartiti.
Questo in una sana concezione di Stato, non confessionale e democratico, che talora potrà o addirittura dovrà arrogarsi funzioni di supplenza (là dove la libera iniziativa privata sia carente) istituendo in proprio scuole, all’interno delle quali siano però possibili canalizzazioni educative, rispettose della volontà e degli indirizzi richiesti dai genitori dei soggetti d’educazione.
Per la scuola libera il problema dell’insegnamento religioso non presenta difficoltà di soluzione: è ovvio che tale insegnamento venga impartito secondo i dettami della famiglia, in modo confessionale, esistenziale, esperienziale, teoretico-culturale e scientifico-storico, e non sarà presente in alcune lezioni soltanto – quelle di Religione appunto – ma soggiaccerà, sarà sotteso, traspirerà da tutto il contesto scolastico, dai piani di studio, dai progetti educativi e dalle sperimentazioni didattiche, in ogni ora di lezione e per ogni disciplina. Nella scuola gestita – in supplenza – dallo Stato, lo Stato dovrà garantire a sua volta la presenza istituzionalizzata e positiva di insegnamenti, e la possibilità di sperimentazioni, propri delle varie Religioni o dei vari umanesimi, esistenti alle spalle degli alunni, qualsiasi età essi abbiano: a gestire gli spazi riservati alle varie confessioni religiose od ai vari umanesimi lo Stato dovrà chiamare docenti approvati dalle confessioni stesse, dato il tipo «desueto» d’insegnamento che ad essi viene affidato: non una filosofia, non una storia, non una tecnica, ma un modo di interpretare la vita e di leggerla.
Questo discorso, ancor che a farlo sia un cattolico, vale evidentemente per tutte le confessioni religiose, per tutte le matrici culturali, per tutte le ideologie, e non può essere sconfessato se non dagli statolatri: ma la statolatria sappiamo tutti a quali degenerazioni porti e quali esecrandità produca, non importa sotto qual colore politico perpetrate, e quanto dequalifichi chi ne è paladino.
Siccome poi non esiste antropologia seria e scientifica che non dichiari presente nell’uomo una componente religiosa, da cui derivano i comportamenti etici e le scelte ideologiche, è evidente la doverosità di porgere un’attenzione tutta particolare alla componente religiosa stessa, specialmente nelle fasi evolutive e di sviluppo del singolo, e quindi anche all’interno delle strutture scolastiche, dei piani di studio e delle proposte culturali.
Non v’è riforma scolastica che queste cose possa non considerare o addirittura ignorare, e non si potrà parlare di scuola libera né di libertà nella scuola statale fino a che tutto ciò che son venuto scrivendo non troverà attuazione e pratica applicazione.
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