L’Inghilterra è un paese ancora cristiano? Se lo chiedono a Londra, dopo che, una settimana fa, il premier David Cameron ha scritto al The Church Times una lettera in cui ha sottolineato l’importanza della Chiesa anglicana nella storia della nazione: la sua presenza ha accompagnato la crescita dell’isola e ancora oggi deve essere valorizzata, recitava la missiva.
Al netto di interpretazioni in tempo di campagna elettorale (Cameron non parla mai di temi “caldi” come le unioni omosessuali, approvate dal suo stesso governo) e al di là della risposta “piccata” di diversi intellettuali razionalisti, a ribattere nella maniera più secca alle parole di Cameron è stato Rowan Williams, fino al 2012 arcivescovo di Canterbury e guida della Chiesa anglicana per dieci anni. «Siamo una nazione cristiana cioè un paese di credenti? No», è stata la risposta riportata dal Telegraph nella lunga intervista al vescovo e teologo inglese, ora docente al Magdalene College di Cambridge.
«POST-CHRISTIAN NATION». Williams ha espressamente parlato dell’Inghilterra come di un paese «post-cristiano, che non significa per forza che non siamo cristiani. Vuol dire, piuttosto, che la memoria culturale è ancora fortemente cristiana. E, in un certo senso, la presenza culturale è ancora abbastanza cristiana. Ma siamo in una fase “post-Christian” nel senso che l’essere praticanti non è più dato per scontato da gran parte della popolazione». È rimasta una visione del mondo plasmata sulla religione, ma il cuore della fede si è svuotato, è la tesi di Williams. Di fronte a lui i dati di un recente sondaggio, dove emerge che soltanto il 14 per cento degli inglesi si considera cristiano praticante: il restante 86 oscilla tra l’essere “assolutamente non religioso” e il “non praticante”. Se si aggiunge poi che nelle città inglesi si fanno sempre più numerose le comunità musulmane, con la conseguente paura dei cittadini locali di un’islamizzazione della società, è completa la radiografia sullo stato di crisi della Chiesa di Londra.
«A UNA GENERAZIONE DALL’ESTINZIONE». Le parole di Williams sono pesanti, e soffiano sul fuoco di una stagione assai tesa per gli anglicani, segnata da divisioni interne e crisi di fede. Lo scorso novembre il predecessore di Williams, Lord Carey, è intervenuto con parole molto dure al sinodo della chiesa d’Inghilterra, sottolineando il terribile senso di sconfitta che c’è tra il clero britannico: «Siamo a una generazione dall’estinzione». Secondo l’ex arcivescovo di Canterbury ciò che serve agli anglicani è una nuova evangelizzazione, qualcosa che renda interessante per la gente «sedersi in una chiesa fredda guardando la nuca di altre persone». In quei giorni, il Daily Mail ha titolato profetico: «2030: l’anno in cui l’Inghilterra smetterà di essere cristiana». Ma oggi Williams sembra essere stato ancora più drastico, anticipando quella data di qualche decennio.
MATRIMONI GAY E VESCOVI OMOSESSUALI. Inevitabile pensare alle tante divisioni che si sono innestate in questi anni in seno alla Chiesa anglicana, costruitesi in particolare attorno a temi come le ordinazioni episcopali di sacerdoti gay o donna, o i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Da una parte il centro “bianco” londinese si è spesso mostrato aperto a questi cambiamenti, trovandosi contro le “province nere” dell’Africa, specie Nigeria, dove le comunità crescono e sono più fedeli ad una linea tradizionale. Williams, dalla sua, nei suoi anni di arcivescovado si è mostrato favorevole ad alcune modifiche, salvo poi fare marcia indietro di fronte al passaggio di tanti fedeli e sacerdoti alla Chiesa cattolica. Si corre sulla linea di una faglia, sempre pronta ad allargarsi, e che ora rischia di mangiare tutto ciò che le sta intorno. «Abbiamo speso troppo tempo a ragionare su cavilli mentre gli inglesi sono lasciati ad annaspare in mezzo ad assenza di significato, angoscia e disperazione», era l’allarme lanciato dal reverendo Sentamu a novembre, facendo eco al monito terribile di Lord Carey.