Nel discorso di Benedetto XVI alla Conferenza dei vescovi europei abbiamo sentito un cambiamento di linguaggio che ha carattere radicale e pone fine a quella concezione per cui la Chiesa doveva andare alla ricerca dei grandi miti della storia moderna per “aggiornarsi” su di essi. Dalla rivoluzione francese in poi, la Chiesa, profeticamente, si è opposta alla pretesa di totalità dello Stato moderno e rivoluzionario, così mantenendo viva la differenza tra l’identità europea e lo Stato totale, e subendo per questo persecuzioni in forma diversa. Ma è stata, questa ferma differenza, un punto fermo grazie al quale l’Europa è potuta uscire dall’eone storico che va dal 1789 al 1989, dall’esordio della rivoluzione francese al crollo della rivoluzione sovietica. Mentre la stagione del razionalismo e del suo contrappunto, l’irrazionalismo nazista, era terminata lasciando l’Europa vuota di uomini, di pensieri e di energie. Accusata di essere illiberale, l’opposizione di Pio IX al liberalismo e alla cultura moderna fu in realtà il segno della libertà. Il Papa non avversò il liberalismo né la modernità, ma il carattere anticristiano che imprimeva la propria forma anche alle conquiste storiche, un carattere anche dalla stagione dello Stato rivoluzionario e totale.
Oggi invece Benedetto XVI recupera ragione, libertà, modernità opponendosi al loro sradicamento dall’orizzonte della cultura cristiana, di cui essi facevano parte, nonostante la forma rivoluzionaria. Ora il Papa combatte contro la movenza anticristiana del relativismo e dello scientismo, nei quali vede una nuova forma di totalità che si assolutizza e si divinizza negando perfino la persona umana e il valore della sua apertura al divino. Il papato si riprende, dunque, la funzione profetica che aveva perduto il giorno in cui si cominciò a pensare che dovesse essere l’aggiornamento alla modernità il criterio dominante del linguaggio ecclesiale, e che esso dovesse comparire come un segno di conformità a quello che fu chiamato, con impropria metafora biblica, “segno dei tempi”. Torna in Benedetto il linguaggio dei grandi papi che ebbero il nome di Pio. Naturalmente finirà qui il grande consenso attorno a quel magistero papale che inaugurò l’epoca dell'”aggiornamento” che sembrò ridurre la Chiesa al conformismo. Ma in fondo nemmeno allora la Chiesa si ridusse davvero alla funzione di amica del secolo. Però ora la sua differenza emana con più nitida chiarezza dalle parole del Papa, che non teme di parlare di «apostasia dell’Europa da se stessa». È il linguaggio profetico della Chiesa verso il mondo, il linguaggio del beato Pio IX. [email protected]
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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