«Oggi l’unico momento di visibilità del modo in cui viene realmente esercitato il potere sono rimaste le intercettazioni; solo le macchine (le microspie) ci consentono di ascoltare in diretta la vera e autentica voce del potere. Le intercettazioni sono rimaste l’ultimo tallone di Achille di un potere che nel tempo ha sempre più circondato di segreto il proprio operato». Se queste cose fossero state scritte a Pechino sarebbero cose comprensibili a tutti. Il fatto è che sono state scritte da un procuratore generale (Roberto Scarpinato) in Italia. E vengono quotidianamente applicate (come insegna il quotidiano di Antonio Padellaro che adesso pare diventato la fonte oltre che la foce delle procure) nel paese in cui l’articolo 15 della Costituzione proclama che «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili».
Non solo non sta scritto da nessuna parte che c’è un diritto di informazione che prevale sulla Costituzione e che la funzione del magistrato (che è un funzionario di un certo e non poco potere) è quella di controllare gli altri poteri e sputtanarli sui giornali. Ma sta scritto che la funzione del magistrato è amministrare le leggi (Costituzione) e che l’articolo 15 può essere sospeso «con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini» (art. 267 Cpp).
Fuori di qui non ci vuole una “legge bavaglio”. Ci vuole di più. Ci vuole una legge alla spagnola che né Zapatero né Rajoy si sono mai sognati di abolire. Una Ley de Enjuiciamiento Criminal, che sancisca la generale segretezza del fascicolo degli atti di indagine fino al momento del dibattimento.