Sulla cima delle colline del Valdobbiadene, in provincia di Treviso, strette carrettiere e nessuna segnaletica (a parte qualche foglio di carta) e il passaparola entusiasta di altri avventori, conducono ad un vecchio rustico. È il luogo dove dal 2005 l’imprenditore Cesare De Stefani (proprietario di un salumificio in un’altra frazione di Valdobbiadene) si è inventato un’iniziativa unica, l’Osteria senz’Oste. Gli avventori possono venire quando vogliono, e in tavola trovano da bere e mangiare, insieme ad un bigliettino, che invita a consumare, in cambio di un’offerta. Anche l’Agenzia delle entrate di Treviso si è occupata del caso e ha fatto recapitare a De Stefani una cartella esattoriale, chiedendogli 62 mila euro. De Stefani a tempi.it spiega: «Ho fatto ricorso. E non mi arrendo. Siamo a cinquecento metri dal Piave, e queste mura hanno visto la Grande guerra del ’15-’18. Curioso, ma ora si profila un altro tipo di guerra, quella del fisco ad un’ideale».
Com’è nata l’Osteria senz’Oste?
Ho avuto la fortuna di acquistare nel ’95 uno dei posti più belli e panoramici di questa terra, sulla punta di un cocuzzolo che sovrasta i vigneti dove si produce il prosecco del Cartisse. Per dieci anni l’ho usata con la mia famiglia nel weekend. Non c’era quasi nulla, era un vecchio casolare senza luce e senza camere. Ma vedevo vedevo sempre gente che passeggiava in zona. Dato che non c’erano cancelli, qualcuno più curioso entrava dentro il rudere, poi vedendoci si scusava, non immaginando che fosse proprietà privata. Così mi è venuta l’idea. Ho preso tre bottiglie di prosecco di Cartisse, tre bicchieri di vetro e li ho lasciati sul tavolo. Poi ho lasciato un biglietto: “La bottiglia mi è costata dieci euro. Servitevi, è per voi”: la cifra è sempre stata simbolica. Ho solo pensato di scriverlo perché così ci si sentisse senza imbarazzo nel servirsi, a prescindere dal fatto che lo si possa fare anche gratuitamente.
Poi è iniziato il passaparola e il suo casolare ha cominciato a essere frequentato anche da stranieri.
Dopo il primo mese, ho trovato sul tavolo sei o sette euro, e la bottiglia stappata. Ero felice che qualcuno si fosse sentito a casa sua e avesse accettato la mia proposta. Passarono i mesi, e iniziai a trovare i dieci euro una volta alla settimana. Mi resi conto che i tre bicchieri non bastavano, ne misi sei, le tre bottiglie aumentarono. Pensai che sarebbe potuta passare qualche ragazza con il suo fidanzato, e magari avrebbe gradito qualche pasticcino, così presi una guantiera in pasticceria e la lasciai sul tavolo. In cambio trovai dei biglietti di ringraziamenti. Visto che li produco, misi anche qualche salume, poi al fine settimana – quando di solito i passanti entravano – iniziai a far trovare del pane fresco. Mi piaceva l’idea di lasciare questi segni di ospitalità.
Ma qui sono iniziate le grane burocratiche.
Sì, solo che, anziché capire lo spirito di quest’idea e insieme a me trovare la soluzione amministrativa adeguata, il solerte e fiscale funzionario ha intravisto nel mio gesto di generosità un’attività commerciale. Ma un parroco o un sagrestano che offrono le candele ai fedeli in chiesa, in cambio di un obolo libero, si possono accusare di vendita? No.
Quindi l’Osteria senz’Oste è un’attività commerciale.
Già, ma le devo raccontare un precedente. Nel 2012 ho ricevuto nel mio salumificio un’ispezione dell’Agenzia delle entrate che mi contestava che l’utile netto e il fatturato coincidessero. Mi parlarono di una sanzione di circa 6 milioni, mi sono opposto e durante gli incontri con l’Agenzia delle entrate mi è stato più volte ricordato che ero la stessa persona che possedeva l’Osteria senz’Oste. Mi pareva di essere dentro un film: quando nell’ottobre 2012 mi sono rifiutato di pagare una sanzione di 600 mila euro per il salumificio, un funzionario mi ha minacciato. Ad aprile 2013, il tribunale tributario di Treviso ha sconfessato l’Agenzia delle entrate e deciso che, in effetti, non avrei dovuto pagare i 600 mila euro. Il caso dell’Osteria senz’Oste, forse poco casualmente, è scoppiato subito dopo. Lei non ci vede una ritorsione? Ho incaricato un avvocato di occuparsi della vicenda.
Il fisco le chiede 62 mila euro per l’Osteria. In base a cosa hanno calcolato questa cifra?
Non lo so. Non sono nemmeno venuti sul posto, hanno agito d’ufficio. Un giorno mi sono state consegnate quattro grandi buste verdi in cui mi si contestano la cifra, considerando la superficie calpestabile e paragonandola a quella di altri esercizi commerciali della provincia di Treviso.
Coloro che passano dall’Osteria sono cresciuti di numero. Magari adesso lei sul tavolo trova più di dieci euro alla settimana. Quanto raccoglie dall’Osteria?
È come chiedere ad un cacciatore quanto prende dalla selvaggina che va a cacciare. Quando lo domando ai miei amici appassionati di caccia, mi rispondono: “Oggi ho preso un fagiano, ma mi costa più di quel che vale, tra licenza e fucile”. Oggi la maggior parte delle persone che arrivano qui sono aziende del territorio che usano l’Osteria come luogo di rappresentanza, e mi lasciano come regalo simbolico qualche bottiglia dei loro vini.
Quindi non vuole dirci quanto trova oggi al mese sul tavolo dell’Osteria?
No, e lo sa perché? Perché una soluzione semplice alla questione ci sarebbe ed è quella che ho proposto all’amministrazione. Ho detto loro che se hanno qualche prurito fiscale nei miei confronti, se hanno il dubbio che io ci guadagni qualcosa, basta che mi diano il permesso di avere un registratore fiscale e una partita Iva. Le persone che verranno all’Osteria potrebbero lasciare un’offerta libera, ma inserendone l’importo nel registratore. A questo punto anche io acquisterei tutto con fattura e poi confronterei con quel che trovo. Così si capirebbe davvero se ho introiti o se per caso, semmai, è l’ente del turismo a dovermi dare qualcosa per la promozione al territorio che io faccio a mie spese grazie a questa idea.
Cosa le hanno risposto?
Mi hanno detto che non è possibile, perché la porta del casolare è larga 77 centimetri, e dovrebbe essere di 80 e che i soffitti del casolare sono troppo bassi. Il che significa che, per metterlo a norma e avere le autorizzazioni, dovrei demolire un edificio del 1700. Ci troviamo davanti all’ottusità dei funzionari, che di fronte alle nuove idee si attengono a quanto già previsto dalle normative, anziché trovarne delle nuove. Io credo nella libertà, nella fiducia e nell’autoresponsabilità. L’Osteria senz’oste nasce dall’idea che affido un mio bene a qualcuno, a cui indirettemente chiedo solo di prendersene cura come se fossi io. In cambio della fiducia, mi aspetto solo un atto di rispetto.