Il mercato discografico del pop inglese negli ultimi tempi sta sfornando voci femminili in gran quantità. Forse, un po’ sottaciuto, è il desiderio di trovare una singer girl che raccolga l’eredità artistica di Dusty Springfield, la grande interprete britannica che tra gli anni 60 e 70 divenne un’icona per gli appassionati della musica pop d’autore che vedeva in prima fila Carole King, Burt Bacharach e Randy Newman. La Springfield, dotata di una voce non potente ma molto espressiva, fu una delle prime cantanti di pelle bianca a confrontarsi con successo con il soul leggero delle scuderie Atlantic e Motown.
Tornando a oggi, le interpreti anglosassoni che si sono cimentate con gli standard vintage music con sfumature black, portano il nome di Anastacia, Duffy, Amy Winehouse, ma in questo momento la più convincente sembra essere Adele, che in queste settimane si sta imponendo anche a livello di vendite e download con il suo nuovo cd (il secondo) dal titolo un po’ laconico, “21”, proprio come i suoi anni.
Adele si presenta con un look molto naturale al contrario della “bad girl” Winehouse, la sua voce è capace di chiaro scuri, senza la sguaiataggine di Anastacia, più corposa ed espressiva di quella di Duffy. Il suo repertorio, di cui è autrice dei testi, è un intrigante pop con forti venature soul e ripercorrendo lo score di questo “21”, che apre con un brano – “Rolling in the Deep” – di quelli che ti si avvinghiano e non ti mollano più, ci imbattiamo in una tavolozza di suoni pastello ben diretti da un produttore storico come Rick Rubin (Red Hot Chily Pepper, Johny Cash, Neil Diamond, U2), una giostra di orchestre fluttuanti di inusuale profondità, tamburi afro e chitarre del Delta, tastiere rubate ai Coldplay e sopra tutto la bella voce in altalena tra la terra e il cielo di Adele. Intanto si è scatenato il dibattito nei blog specializzati: sarà vera gloria?